Vincenzo Verzeni, il Vampiro della bergamasca: la storia e lo studio di Lombroso
Vincenzo Verzeni, noto come “il Vampiro della Bergamasca“, è una delle figure più oscure e affascinanti della criminologia italiana del XIX secolo.
Il suo caso ha catturato l’attenzione della società e, in particolare, dello studioso Cesare Lombroso, padre della criminologia moderna. La vicenda di Verzeni si intreccia con lo sviluppo della scienza criminologica, facendo emergere riflessioni profonde sulla natura del male, la psicopatologia e la devianza umana.
In questo articolo tratteremo la storia di Vincenzo Verzeni e l’analisi che ne ha fatto Lombroso, con particolare attenzione alle sue teorie sulla criminalità atavica e le implicazioni criminologiche emerse dallo studio di questo serial killer.
Vincenzo Verzeni: la vita
Vincenzo Verzeni nacque nel 1849 a Bottanuco, un piccolo paese nella provincia di Bergamo, in una famiglia di contadini.
Nonostante le umili origini e una vita apparentemente ordinaria, Verzeni manifestò sin da giovane tendenze aggressive e violente. Le prime testimonianze di comportamenti disturbanti risalgono all’infanzia, quando era già noto per atti di crudeltà verso gli animali, un segnale che oggi riconosciamo come un campanello d’allarme per potenziali futuri criminali.
Nel 1870 la tranquilla comunità rurale di Bottanuco fu sconvolta da una serie di orribili omicidi. Le vittime erano principalmente giovani donne, che venivano strangolate e mutilate in modi brutali. Alcune di esse presentavano segni di morsi e parti del loro corpo sembravano essere state asportate con ferocia quasi animalesca.
Il Vampiro della bergamasca: gli omicidi e l’arresto
Gli abitanti del luogo cominciarono a diffondere voci su un possibile mostro o vampiro che si aggirava nella zona, da cui il soprannome “il Vampiro della Bergamasca“.
Il 1871 fu un anno decisivo. La violenza esplose in modo incontrollato con il ritrovamento di altre vittime, tra cui Giovanna Motta, una giovane donna brutalmente assassinata. La polizia, sotto la crescente pressione della comunità, iniziò a indagare a fondo, concentrandosi su chiunque avesse un comportamento sospetto.
Il “Vampiro della Bergamasca” fu arrestato nel 1872, dopo che una delle sue potenziali vittime, Maria Previtali, riuscì miracolosamente a sfuggirgli durante un tentativo di strangolamento e lo identificò.
Verzeni, durante gli interrogatori, inizialmente negò ogni coinvolgimento, ma in seguito confessò non solo gli omicidi, ma anche dettagli inquietanti sui suoi crimini. Egli ammise di provare un intenso piacere sessuale durante lo strangolamento delle sue vittime, e di essere attratto dal desiderio di bere il loro sangue. Questa confessione contribuì a consolidare il suo soprannome di “Vampiro“.
Verzeni fu processato nel 1873 e condannato a morte. La pena, tuttavia, fu successivamente commutata in ergastolo e passò il resto dei suoi giorni in prigione, dove continuò a essere oggetto di studi scientifici, tra cui quelli di Cesare Lombroso.
Il Vampiro di Bergamo e il ruolo di Cesare Lombroso
Al caso del “Vampiro di Bergamo” si interessò Cesare Lombroso, celebre medico e antropologo italiano.
La vicenda si inserì all’interno del suo più ampio progetto di studio sulla devianza e la criminalità. Lombroso, spesso considerato il fondatore della criminologia moderna, cercava di dimostrare che il comportamento criminale era determinato da fattori biologici e fisici piuttosto che esclusivamente da influenze ambientali o sociali.
Il caso del “Vampiro di Bergamo” affascinò Lombroso per l’apparente manifestazione di una devianza estrema e patologica.
Egli analizzò il criminale sia dal punto di vista medico sia antropologico, cercando di identificare tratti fisici che potessero indicare una predisposizione alla criminalità. Lombroso credeva che alcuni criminali fossero “nati criminali“, ossia portatori di una sorta di degenerazione atavica che li rendeva predisposti a comportamenti violenti.
Serial killer: i tratti distintivi secondo Lombroso
Nel suo celebre libro L’uomo delinquente (1876), Lombroso dedicò un’ampia sezione al serial killer Verzeni, descrivendo in dettaglio le sue osservazioni. Lombroso notò come Verzeni presentasse segni di quella che chiamava “criminalità atavica“: tratti fisici come mascelle pronunciate, arcate sopraccigliari sporgenti e orecchie di forma particolare, che secondo lo studioso erano caratteristiche comuni nei criminali.
Egli concluse che Verzeni fosse un esempio paradigmatico di “delinquente nato”, un uomo la cui devianza era inscritta nel corpo e che agiva in risposta a pulsioni primitive e incontrollabili.
La teoria lombrosiana e le critiche
Le teorie di Cesare Lombroso, sebbene rivoluzionarie per l’epoca, furono oggetto di numerose critiche già durante il suo tempo e continuano a esserlo oggi.
Sebbene il suo approccio abbia pionieristicamente ricercato correlazioni tra biologia e comportamento criminale, molti contestarono le sue conclusioni, criticandole per la mancanza di rigore scientifico e il carattere deterministico delle affermazioni.
Nel caso di Verzeni, sebbene Lombroso abbia cercato di spiegare i suoi comportamenti omicidi con fattori biologici, è evidente che vi fossero anche aspetti psicologici profondi da considerare.
L’analisi dei serial killer e dei criminali violenti oggi si basa su una comprensione più sfumata, che tiene conto di fattori genetici, psicologici, sociali e ambientali.
Verzeni, in base a ciò che sappiamo oggi, potrebbe essere stato affetto da gravi disturbi psichiatrici, come la parafilia e la necrofilia, combinati a una possibile personalità psicopatica.
La sua ossessione per lo strangolamento e il sangue suggerisce una dinamica di potere e controllo che si manifesta in forme estreme di violenza sessuale. Sebbene Lombroso abbia interpretato tutto ciò come un ritorno a pulsioni “ataviche”, è probabile che il comportamento di Verzeni fosse più complesso e che fattori psicologici abbiano avuto un ruolo preponderante.
Vincenzo Verzeni: l’impatto del suo caso
Il caso di Vincenzo Verzeni non è stato solo una tragica storia di crimine, ma ha anche avuto un impatto significativo sullo sviluppo della criminologia e della psichiatria forense in Italia. Ha rappresentato uno dei primi casi di studio sistematico di un serial killer e ha portato alla ribalta questioni cruciali sulla natura del male, la responsabilità criminale e l’importanza di comprendere la psicologia dei criminali.
Verzeni stesso è diventato una figura simbolica, non solo per il suo ruolo negli omicidi, ma anche per ciò che rappresentava nella mente di Lombroso e dei suoi contemporanei: l’idea che il criminale non fosse semplicemente il prodotto di cattive influenze o povertà, ma potesse essere il risultato di una degenerazione interna, fisica e morale. Oggi, tuttavia, riconosciamo i limiti di questa visione e cerchiamo di comprendere la devianza attraverso una lente più multidimensionale.
Vincenzo Verzeni rimane una figura affascinante e terrificante nella storia criminale italiana. Il suo caso ha offerto a Cesare Lombroso un’opportunità per esplorare le sue teorie sulla criminalità atavica, ma ha anche evidenziato i limiti di un approccio puramente biologico alla devianza. Oggi la sua storia ci ricorda quanto sia complessa la mente umana e come la comprensione della criminalità richieda un’analisi che vada oltre il semplice determinismo biologico. Il “Vampiro della Bergamasca” continua a essere oggetto di interesse, non solo per il suo impatto sulla criminologia, ma anche come esempio di come la scienza e la società abbiano cercato di dare un senso al male estremo.