La Cassazione impone la garanzia per il salario minimo costituzionale
Si sente parlare spesso di salario minimo e di come diversde realtà lavorative eroghino compensi ben distanti dalla soglia prevista. Una buona notizia per i lavoratori arriva però da una recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione (per la precisione la 27711/ 2023). L’iter giudiziario in questo caso riguardava il dipendente di una cooperativa che aveva presentato ricorso per la retribuzione percepita.
Depositata in data 2 ottobre 2023 la sentenza ha stabilito che il riferimento del contratto collettivo nazionale non può essere l’unico parametro su cui basarsi. Ma soprattutto che la retribuzione lorda non è il salario da esaminare, perché non si tratta della somma che il lavoratore può realmente utilizzare.
Salario minimo: cosa stabilisce la legge
Prima di entrare nei dettagli è il caso di capire che cosa si intenda con questa espressione. Per definizione si tratta della retribuzione di base prevista in un determinato arco di tempo, sotto la quale non è possibile scendere. Considerando l’Unione Europea sono ben ventuno gli stati che prevedono già questa misura, ma tra i sei che ancora ne sono sprovvisti c’è anche il nostro paese.
Introdurre questa misura è oggetto di discussione in Parlamento già da tempo. Avere un salario minimo consentirebbe di evitare i casi di sfruttamento da parte dei datori di lavoro in quanto legalmente non potrebbero pagare sotto una certa soglia i propri impiegati. Il problema è trovare il giusto accordo e al momento anche la premier Giorgia Meloni si dice contraria a istituire il minimo salariale.
Il 30 giugno di quest’anno i leader dell’opposizione fra cui Giuseppe Conte per l’M5S ed Elly Schlein per il PD avevano chiesto al governo di fissare la soglia minima a 9 euro l’ora. Una proposta che mirava a intervenire nei settori lavorativi più fragili dove spesso i lavoratori accettano condizioni poco etiche e dove le organizzazioni sindacali non riescono ad arrivare.
Questa retribuzione minima inoltre non andrebbe limitata ai contratti di lavoro subordinato ma estesa anche a chi è autonomo. Le ragioni dietro il rifiuto del governo riguardano il fatto che le paghe attuali sono in linea con quelle previste dall’Unione Europea. Di contro però proprio l’UE avrebbe chiesto agli stati membri di provvedere per garantire salari adeguati ai lavoratori entro l’anno prossimo.
La sentenza 27711/2023 della Corte di Cassazione
In questa situazione di stallo quanto stabilito dalla Cassazione però fa ben sperare affinché il salario minimo venga presto definito per legge. La sentenza infatti ricorda cosa comporta l’applicazione dell’articolo 36 della Costituzione Italiana, relativo al giusto salario e alla durata massima della giornata lavorativa.
L’articolo 36 recita che “il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro” e precisa come questa debba consentire una “esistenza libera e dignitosa“. Se ciò che si percepisce non soddisfa quest’ultima condizione allora significa che lo stipendio non è adeguato, anche se appare in linea con quanto stabilito dal contratto collettivo nazionale di riferimento.
Secondo la Cassazione quindi anche la retribuzione lorda non può essere quella da considerare, ma piuttosto quella di fatto. In più non si possono trascurare gli indicatori economici per misurare la soglia di povertà forniti dall’Istat che possono dare maggiori informazioni. In un certo senso perciò la sentenza sancisce l’esistenza di un salario minimo costituzionale da applicare ad personam, anche se solo in forma suggerita.
Grazie alla Suprema Corte il portiere che aveva presentato il ricorso è riuscito ad ottenere ragione dopo un primo grado favorevole seguito da un dietrofront da parte della Corte di Torino.
La Direttiva UE 2022/2041 e il salario minimo
A dare sostegno alla necessità di considerare gli indicatori Istat c’è la Direttiva 2022/2041 del Parlamento europeo. Il testo sottolinea la necessità di migliorare l’equità del mercato del lavoro e la tutela di chi ne fa parte. In particolare auspica di ridurre la discriminazione e la disparità fra i generi tramite una retribuzione minima da rispettare per tutti.
Nel mondo post pandemia i contratti di lavoro per incarichi a tempo determinato o di tipo stagionale sono aumentati e questo non aiuta a combattere il precariato.
Le categorie che hanno più bisogno di un salario minimo per non rischiare di subire sfruttamento sono i lavoratori più giovane, le madri sole con figli a carico, chi presenta disabilità e gli impiegati del settore agricolo e alberghiero.
Il testo della Direttiva sottolinea inoltre contratti collettivi non coprono tutti i lavoratori e negli stati membri dell’UE la percentuale scoperta può variare fra il 2 e il 55%. Ma il punto di interesse per la sentenza della Cassazione si trova al punto 28 dove si parla del fatto che i paesi devono tenere conto delle condizioni socioeconomiche nazionali per stabilire i salari.
Citando il punto 28 anzi si può riportare quanto segue: “gli stati membri devono utilizzare indicatori e valori di riferimento associati“. Un suggerimento fornito dalla Direttiva è quello di utilizzare il rapporto tra la retribuzione minima lorda e il 60% della media del salario lordo.