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Hikikomori: definizione del fenomeno in criminologia

Hikikomori: definizione del fenomeno in criminologia

Hikikomori
  • Nausicaa Tecchio
  • 17 Gennaio 2022
  • Criminologia
  • 4 minuti

Hikikomori: definizione del fenomeno in criminologia

Fra la gioventù giapponese in età scolare il termine hikikomori è fin troppo conosciuto. La parola esiste più o meno dagli anni ’80 ed è via via entrata nel linguaggio comune per una situazione dilagante molto drammatica. L’isolamento dei ragazzi adolescenti e dei giovani adulti, che si chiudono in una stanza per non uscirne più.

Il fenomeno è stato studiato anche in ottica psicologica e psichiatrica, nonché criminologica. Vediamo di analizzarlo per bene.

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Ritratto di un hikikomori, esule di una società

Come si può distinguerne uno vero da un soggetto affetto da altre patologie o distubri dell’umore? Innanzitutto occorre precisare che chi rientra in questa categoria probabilmente è anche vittima di depressione, ma non solo. Una persona affetta da sindome depressiva non si riconosce subito. Magari si reca al lavoro tutti i giorni, cena in famiglia, esce e svolge attività. Insomma può ancora nascondersi dietro ad una maschera.

Un hikikomori no. Non può proprio perché non fa nulla per celare la sua condizione che diventa evidente nel giro di poco. Vive recluso in pochi metri quadrati di spazio, una stanza che diventa il suo mondo. Già uscire per recarsi al bagno se non interno alla camera diventa una sfida mentale. Se non vive solo si limiterà a chiedere del cibo ogni tanto. Ma raramente pranza o cena ad orari consoni.

La stanza che occupa pian piano si sporca, diventa malcurata. Ma a chi ci vive importa poco, finché può evitare i contatti con il mondo esterno. Addirittura si inizia a parlare di hikikomori solo quando l’isolamento autoimposto supera i sei mesi. Se è un adolescente abbandona la scuola, se universitario smette di recarsi a lezione. Nessuna spiegazione o motivo, solo il realizzare che uscire è diventato un incubo.

Molti associano questa figura alla cultura otaku, fissata con manga, serie animate o videogiochi. Non necessariamente però le due cose sono collegate. Insomma, un appassionato di videogiochi può comunque avere un lavoro e una vita sociale. Chi si isola in questo modo si dedica a tali passatempi semplicemente perché gli permettono di non uscire più di casa. Un circolo vizioso insomma.

Questa sindrome porta anche a trascurare la cura e l’igiene personale. Barba lunga e sfatta, pelle rovinata e fragile, una doccia ogni chissà quanto. E naturalmente lo stato mentale che degrada, apatia e difficoltà a relazionarsi. Un’ansia sociale che cresce e si autoalimenta nel buio di una camera.

Cosa porta ad autoisolarsi fino all’estraniamento totale?

Definire o evidenziare caratteristiche comuni tra i profili psicologici di chi diventa un hikikomori non è immediato. Secondo i dati a disposizione in Giappone la prevalenza è costituita da individui maschi di età compresa fra i 19 e i 30 anni. Negli ultimi anni tuttavia è aumentato il numero di under 19 colpiti dalla sindrome anche all’estero.

I motivi possono essere plurimi, ma la radice della sindrome è sempre un disagio profondo. Senso di inadeguatezza alla società e soprattuto alla socialità che essa richiede. Maltrattamenti a scuola o sul luogo di lavoro, cyberbullismo e delusioni varie…chi lo sa. Una di queste o tutte insieme possono essere l’interruttore del blocco totale, la porta che si chiude.

In Italia la diagnosi di questo disturbo è affidata ad alcuni centri diagnostici fondati da poco. Tra questi il principale è legato al Policlinico Gemelli di Roma. Il problema principale è individuare per tempo il declino psicologico che conduce a chiudere la porta di una camera per mesi. I sintomi diventano palesi solo quando li si cerca.

Una dipendenza da PC, con un periodo di permanenza davanti allo schermo prolungato, ad esempio. Non confondiamolo però con chi lavora da remoto, che non ha molta scelta. La preoccupazione deve insorgere nel caso di un ragazzo o un giocane prima molto attivo che improvvisamente cambi. Dai pomeriggi all’aria aperta a uno schermo, senza comunicare più di tanto con gli altri. 

Dal sostituire l’interazione reale e fisica con quella via chat o social si passa poi ad altri disturbi via via più evidenti. Letargia, uno stato di sonnolenza perenne dovuta ad orari non più regolari. E se si tenta di intervenire togliendo il dispositivo si ottiene un’aggressività inattesa e disperata. 

Un esempio perfetto nei media giapponesi

Un ritratto fedele di un hikikomori è dipinto a chiare linee nella light novel di Tatsuhiko Takimoto, Welcome to the NHK. Dai suoi volumi è stata tratta anche una serie anime molto cruda e spietata per quanto riguarda questa sindrome. Il protagonista della vicenda è un ragazzo di 22 anni, Tatsuhiro Sato.

Sato vive recluso da quando ha iniziato l’università e ormai da quattro anni non studia né lavora. Vivendo solo lontano dai genitori riesce ancora a nascondere la sua situazione che non riesce ad accettare. Si è convinto che tutto sia nato da una sorta di complotto a suo danno, negando i suoi limiti sempre più evidenti.

La sua presa di coscienza inizia incontrando la giovanissima Misaki, che decide di aiutarlo. Parlando con lei il ragazzo si ritrova a dover analizzare ciò che lo ha portato a diventare un hikikomori. Inizialmente non vuole neanche definirsi così, ma dentro di sé sa di essere al capolinea. Come ammette spesso, i complotti sono rarissimi, compreso quello che ha immaginato lui.

Nella light novel Sato non è l’unico con questa condizione psicologica, che si presenta in diversi gradi. Uno di quelli che incontra è allo stadio peggiore, al punto da non sembrare più un essere umano. L’isolamento lo ha fatto regredire enormemente dal punto di vista empatico e comunicativo.

Non interagisce neppure con la sorella che lo assiste, se non sbattendo sul muro quando ha fame. Lei stessa per quanto gli voglia bene ormai lo considera un animale domestico. E la cosa peggiore è che questa condizione non è frutto di fantasia bensì specchio della realtà di alcuni ragazzi.

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