Il Gruppo Facebook "Mia Moglie" e la violazione del consenso
La vicenda del gruppo Facebook “Mia Moglie” mostra come la condivisione digitale possa trasformarsi in uno strumento di violenza e controllo, confermando quanto il dorato mondo dei social network sia, dietro le apparenze, terreno fertile per dinamiche estremamente pericolose.
Analizziamo insieme il caso e i suoi meccanismi psicologici, culturali e legali.
Indice
Che cos’è il gruppo Facebook “Mia Moglie”
Il gruppo Facebook “Mia Moglie” nasce nel 2019 come spazio virtuale in cui gli utenti possono condividere immagini di mogli, fidanzate e partner senza consenso. Pur presentandosi come un forum di intrattenimento, la realtà dei contenuti pubblicati mostra però ben presto la sua natura deviante. A partire da maggio 2025, infatti, la piattaforma registra un preoccupante incremento degli utenti aumentando la:
- condivisione di immagini estremamente intime e private;
- diffonde anche contenuti sessualmente espliciti;
- implica immagini di donne sconosciute ed ignare.
Nell’estate 2025 iniziano finalmente ad arrivare alle autorità italiane, e in particolare la Polizia postale, migliaia di segnalazioni che coinvolgono circa 2.800 persone per il gruppo principale e altre 300 per gruppi analoghi. Dal punto di vista normativo, il caso evidenzia inoltre violazioni al Digital Services Act (DSA) europeo, che richiede alle piattaforme una valutazione annuale dei rischi per prevenire la pubblicazione di contenuti pornografici
Al momento della recente chiusura, decisa da Meta solo a seguito di un forte clamore mediatico, il gruppo contava oltre 32mila iscritti, tra persone che pubblicavano le foto e utenti che commentavano o condividevano i contenuti. Gli utenti coinvolti sono però in gran parte anonimi, fatto che rende molto difficile l’identificazione dei responsabili.
Indagini e conseguenze legali
A causa della natura digitale del reato e dell’anonimato degli utenti, le indagini sul gruppo Facebook “Mia Moglie” richiedono tempi lunghi. Ad oggi, la difficoltà principale risiede nell’individuazione dei 32mila utenti, nascosti dietro nickname e profili anonimi. La Polizia postale, infatti, deve attendere che Meta fornisca tutti i dati disponibili sugli iscritti al gruppo per procedere con azioni mirate, che comprendono l’accusa di revenge porn ed altri reati legati alla diffusione non consensuale di contenuti sessualmente espliciti.
Finora, inoltre, non è ancora stata formalmente presentata nessuna querela da parte delle vittime, fattore che complica ulteriormente il percorso legale. Il motivo è semplice: molte donne non sono consapevoli della diffusione delle proprie immagini o, se lo sanno, non hanno gli strumenti per quantificare il danno subito.
Ad ogni modo, si tratta di un caso che sotto tutti i punti di vista rappresenta un fallimento del sistema di vigilanza dei social network. L’incapacità degli algoritmi di Facebook di prevenire la diffusione di contenuti sessualmente espliciti, infatti, dimostra la mancata efficienze dei sistemi automatici e pone interrogativi sulla responsabilità delle piattaforme digitali.
Il caso italiano, inoltre, non è isolato: fenomeni analoghi si verificano in altri Paesi, suggerendo la necessità di un intervento coordinato a livello europeo. tra piattaforme, forze dell’ordine ed istituzioni per garantire una risposta efficace e tempestiva.
Psicologia e cultura della devianza
Dal punto di vista psicologico, il gruppo Facebook “Mia Moglie” è a tutti gli effetti l’espressione di una cultura patriarcale radicata, quella che trasforma la propria partner in un oggetto da esibire. Si tratta di un’oggettificazione che crea terreno fertile per la violenza domestica e di genere.
In questo senso, infatti le donne non sono più percepite come persone, ma come trofei da mostrare: un fenomeno che trova spiegazione nella Objectification Theory.
In questo senso, infatti le donne non sono più percepite come persone, ma come trofei da mostrare: un fenomeno che trova spiegazione nella Objectification Theory.
Gli uomini che pubblicano foto delle proprie partner manifestano spesso:
- tratti narcisistici, in particolare sessuale, il quale giustifica la priorità della propria soddisfazione sessuale a discapito del partner;
- entitlement, ovvero senso di diritto assoluto sul corpo dell’altro;
- exploitativeness, cioè la tendenza a usare le persone per scopi personali.
Questa combinazione, all’interno di un contesto culturale patriarcale, spiega inoltre come molti autori si sentano deresponsabilizzati, senza percepire le proprie azioni come reato ma come diritto o vantaggio sociale.
Allo stesso modo, chi osserva e commenta, pur non pubblicando contenuti, contribuisce al fenomeno conferendo valore all’abuso, normalizzandolo e amplificandolo. Infine, l’anonimato online intensifica la trasgressione, permettendo la diffusione immediata ed irreversibile delle immagini, fattore che amplifica il trauma della vittima, privandolo di controllo. Un’immagine privata può infatti riemergere in qualsiasi contesto, anche a distanza di tempo.
Vittime e conseguenze sociali del Gruppo Facebook “Mia Moglie”
Come abbiamo accennato poco fa, le ripercussioni psicologiche sulle vittime di gruppi simili a “Mia Moglie” ed altri simili possono essere significative. Dati attuali di Telefono Rosa e ricerche dell’APA indicano che:
- oltre il 70% delle donne colpite da “revenge porn” sviluppa sintomi di ansia e depressione;
- circa una su tre manifesta disturbi post-traumatici da stress (PTSD);
- 58% delle vittime dichiara di nutrire sensi di colpa e percepirsi come responsabile, sebbene la responsabilità ricada interamente sull’autore dell’abuso.
Inoltre, questa dinamica non è isolata ma rientra in un continuum di violenza che, nei casi estremi, sfocia nel femminicidio. In Italia, il 75% dei femminicidi avviene infatti in contesti in cui la donna aveva già subito forme di controllo, umiliazione o violenza psicologica rappresentando l’atto finale di un processo di possesso e dominio consolidato nel tempo.
Combattere la cultura che alimenta questi comportamenti richiede interventi multilivello:
- consapevolezza culturale;
- educazione al consenso e alle relazioni affettive;
- responsabilità condivisa tra piattaforme, istituzioni e cittadini;
- tempestive reazioni delle piattaforme;
- strumenti legali efficaci e sanzioni.
Come abbiamo analizzato insieme, il caso del gruppo Facebook “Mia Moglie” dimostra come la devianza digitale sia intrecciata a dinamiche culturali profonde che riflettono la persistente oggettificazione della donna e il potere dei social nel moltiplicare il danno.
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