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Ed Gein: analisi psicologica e crimini del “macellaio di Plainfield”

Ed Gein: analisi psicologica e crimini del “macellaio di Plainfield”

Ed Gein - analisi psicologica e crimini del macellaio di Plainfield
  • Sara Elia
  • 9 Dicembre 2025
  • Criminologia
  • 7 minuti

Ed Gein, il “macellaio di Plainfield"

Dietro l’apparenza innocua di un contadino del Wisconsin, si nascondeva una delle figure più inquietanti e influenti dell’intera storia della criminologia americana: Ed Gein, l’uomo che avrebbe ispirato alcuni personaggi terrificanti della cultura pop — da Norman Bates a Leatherface. Quando, negli anni Cinquanta, gli investigatori entrarono nella sua fattoria di Plainfield, si trovarono davanti a una scena così macabra da cambiare per sempre il modo di raccontare il male nella società statunitense.

Il caso di Ed Gein non è soltanto un episodio di cronaca nera, ma un punto di svolta nello studio dei disturbi mentali, della violenza domestica e delle dinamiche psicologiche legate all’isolamento e al fanatismo familiare. La sua vicenda ha aperto interrogativi profondi su come un ambiente oppressivo e un trauma irrisolto possano generare comportamenti estremi, diventando materiale di studio per psichiatri, criminologi e storici del crime.

In questo articolo ricostruiremo in dettaglio i crimini, il profilo psicologico e il contesto che hanno portato alla nascita del “macellaio di Plainfield”, analizzando perché il suo nome continua a esercitare un fascino oscuro a oltre mezzo secolo di distanza. Una storia che svela non solo l’orrore, ma anche i meccanismi della mente umana quando si spinge ai suoi limiti più disturbanti.

Indice
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Chi è Ed Gein: alle radici di una mente disturbata

Edward “Ed” Theodore Gein nasce il 27 agosto 1906 a La Crosse, Wisconsin, in una famiglia segnata da povertà, violenza e fanatismo religioso, e si trasferisce successivamente in una fattoria isolata a Plainfield. Il padre è un alcolizzato incapace di mantenere un lavoro stabile mentre la madre è una figura dominante, ossessionata dal peccato e convinta che il mondo sia corrotto dalle donne e dal desiderio. Fin da piccolo Ed Gein è timido, deriso dai compagni per il suo comportamento introverso e gli scoppi di risa immotivate.
 
Il ragazzo cresce in un clima di isolamento e sviluppa un legame patologico con la madre, unica figura affettiva e al tempo stesso fonte di terrore. Un episodio emblematico avviene quando la donna lo sorprende a masturbarsi: lo rimprovera violentemente e gli immerge i genitali in acqua bollente.
 
La morte del padre nel 1940 segna il primo crollo dell’equilibrio familiare, ma è la morte del fratello Henry, nel 1944, a rappresentare un momento cruciale: viene trovato privo di vita durante un incendio in circostanze mai del tutto chiarite, e molti sospettano che Ed possa aver avuto un ruolo nell’accaduto.
Quando anche la madre muore nel 1945 per un ictus, Gein perde l’unico punto di riferimento, precipitando in una solitudine che si trasforma progressivamente in delirio.

La discesa nella follia

Negli anni successivi alla morte della madre, Ed Gein vive in una crescente alienazione.
Lavora saltuariamente come contadino o babysitter, ma trascorre gran parte del tempo nella sua casa ad ossessionarsi con racconti di morte, crimini, articoli su cannibali, esecuzioni e atrocità naziste, affascinato in particolare dalla figura di Ilse Koch, la “strega di Buchenwald”, che confezionava oggetti con pelle umana.
 
Le stanze della madre rimangono perfettamente conservate, mentre il resto dell’abitazione sprofonda nella sporcizia e nel degrado.
 
Il suo interesse morboso per la morte si trasforma presto in azione.
Tra il 1947 e il 1957, Ed comincia a frequentare i cimiteri locali, riesumando i corpi di donne che gli ricordano la madre e compiendo con essi  pratiche rituali e macabre operazioni di conservazione. Nello specifico: li scuoia, conserva parti del corpo e li trasforma in oggetti domestici quali sedie rivestite con epidermide umana, lampade e vestiti, tazze di cranio e maschere di pelle.
 
In questo senso, Ed Gein mostra la totale perdita di contatto con la realtà e un bisogno compulsivo di possedere, fisicamente e simbolicamente, ciò che non può più avere, ovvero la madre. Nelle sue confessioni future affermerà inoltre di essere stato in grado di parlare con lei attraverso questi resti.

I delitti di Plainfield

Il 16 novembre 1957, la cittadina di Plainfield viene sconvolta dalla scomparsa di Bernice Worden, proprietaria di una ferramenta locale. 
Il figlio, vice-sceriffo della contea, trova tracce di sangue nel negozio e uno scontrino che riporta l’ultima vendita a nome di Ed Gein.
 
Quando la polizia entra nella casa dell’uomo scopre una scena che va oltre ogni immaginazione: il corpo di Bernice viene trovato decapitato, appeso a testa in giù nel capanno come una carcassa animale. Ma il macabro elenco non finisce qui, in quanto vengono rinvenuti:
  • teschi umani usati come ciotole;
  • cinture fatte di capezzoli;
  • maschere di pelle umana;
  • ossa trasformate in mobili;
  • un corsetto ricavato dal torso di una donna;
  • un cuore umano in una casseruola.
Molti reperti provengono dai corpi riesumati nei cimiteri, ma alcuni appartengono a vittime reali. Le indagini rivelano infatti il coinvolgimento di Ed Gein nella scomparsa di Mary Hogan, una barista del luogo scomparsa nel 1954, il cui volto viene ritrovato nella sua casa.
Di fronte agli inquirenti, Gein confessa tutto con calma disarmante, ammettendo di aver violato circa diciotto tombe, di aver scelto le vittime in base alla loro somiglianza con la madre e di aver agito in uno stato di trance.
 
La  comunità di Plainfield resta attonita: l’uomo gentile e timido che aiutava i vicini si rivela un mostro di indicibile ferocia.

Perché il nome di Ed Gein continua a esercitare un fascino oscuro

Il caso di Ed Gein è uno di quelli che non smettono di attirare l’interesse di criminologi, ricercatori, scrittori e appassionati di true crime.
A differenza di molti altri criminali seriali, Gein non ha lasciato una lunga scia di omicidi: la natura dei suoi atti e il contesto psicologico in cui sono maturati hanno scolpito il suo nome nell’immaginario collettivo. Il suo fascino oscuro nasce da una combinazione di elementi unici e disturbanti.

1. L’orrore “domestico”: il male nascosto nella normalità

A differenza di criminali più “visibili”, Ed Gein viveva una vita apparentemente semplice, solitaria, quasi banale. Era un contadino timido, rispettoso, considerato eccentrico ma innocuo. Scoprire che, dietro quella facciata ordinaria, si nascondeva un mondo di violenza, necrofilia e pratiche macabre crea un senso di spaesamento psicologico: il male non appare come altro da noi, ma come qualcosa che può annidarsi nella quotidianità più semplice.

2. L’immaginario horror plasmato dal caso Gein

Gein non è solo un criminale: è diventato un archetipo. I suoi comportamenti hanno ispirato alcuni dei personaggi più iconici del cinema e della letteratura horror:

  • Norman Bates in Psycho
  • Leatherface in Non aprite quella porta
  • Buffalo Bill ne Il silenzio degli innocenti

Questi personaggi hanno amplificato la leggenda di Ed Gein, trasformandolo da caso reale a simbolo culturale di follia, repressione e violenza domestica. Il pubblico continua a chiedersi come un uomo reale possa aver ispirato tre dei mostri più celebri della storia del cinema.

3. Il rapporto morboso con la madre: una storia di controllo e dipendenza

Una delle componenti più studiate è il legame psicopatologico con la madre Augusta. Autoritaria, religiosa in modo ossessivo, isolazionista, ha plasmato l’intera identità del figlio fino a renderlo incapace di distinguere desiderio, colpa e realtà.

Questo scenario fornisce materiale prezioso per psicologi e criminologi: rappresenta un caso estremo ma emblematico di dipendenza affettiva patologica, distorsione morale e internalizzazione tossica del senso di peccato.

4. Il confine ambiguo tra necrofilia, identità e dissociazione

Ed Gein non è classificabile come serial killer tradizionale. I suoi comportamenti includono elementi di necrofilia, feticismo, dissociazione e ritualità.

La creazione di oggetti, indumenti e maschere ricavati da resti umani — e la costruzione di un “corpo alternativo” ispirato probabilmente al desiderio di identificarsi con la madre — continua a generare interrogativi sul rapporto tra trauma, identità e fantasie distruttive.

5. Una storia che interroga la società

Il caso Gein non affascina solo per la sua componente macabra, ma perché tocca temi profondi:

  • cosa può generare un ambiente familiare patologico?
  • quanto pesa l’isolamento sociale sui disturbi mentali?
  • fino a che punto un individuo può essere “prodotto” del proprio contesto?

Sono domande ancora attuali, che contribuiscono a mantenere viva la discussione attorno alla sua figura.

Analisi psicologica e lascito culturale

La psichiatria individua in Ed Gein un caso di disturbo psicotico grave. Nello specifico, una combinazione di:
  • schizofrenia paranoide;
  • necrofilia;
  • disturbo dell’identità di genere;
  • dipendenza affettiva;
  • allucinazioni e deliri di colpa sessuale radicato nell’infanzia.
Le sue azioni sembrano guidate da un bisogno di fusione con la figura materna, comportamento interpretato come un rituale di travestitismo estremo, espressione di un desiderio di cambiare sesso e cancellare l’identità maschile, vista come peccaminosa.
 
Per questo motivo, il processo iniziato nel 1958 viene rapidamente sospeso a causa della diagnosi di infermità mentale ed incapacità di intendere e di volere. Ed Gein viene quindi internato nel Central State Hospital for the Criminally Insane, dove resta per il resto della vita.
Il personale lo descrive come un paziente tranquillo, dedito alla lettura e al giardinaggio. Muore nel 1984, a 77 anni, per insufficienza respiratoria. 
 
Ad oggi, il suo caso è sopravvissuto nella memoria collettiva e nella cultura popolare, ispirando alcuni dei più celebri personaggi dell’horror, come ad esempio Norman Bates in Psycho e Buffalo Bill ne Il silenzio degli innocenti. La vicenda continua a essere studiata come esempio di devianza estrema, un punto di incontro tra psicopatologia, isolamento e repressione religiosa e, nella sua follia, si riflette la paura più profonda dell’essere umano: quella di essere soli, prigionieri di un passato che diventa ossessione.
 
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