Andrei Chikatilo, il mostro di Rostov
Andrei Chikatilo è passato tristemente alla storia come uno dei più mostruosi serial-killer conosciuti al mondo, responsabile di una lunga scia di crimini che terrorizzarono l’Unione Sovietica tra gli anni ’70 e ’90. Soprannominato “il mostro di Rostov“, Chikatilo è un caso emblematico nel panorama criminologico per la complessità della sua personalità e il modo in cui la sua vita personale, sociale e psicologica hanno contribuito a plasmare il suo comportamento criminale.
In questo articolo esploreremo il profilo psicobiografico di Chikatilo, analizzando le esperienze formative della sua infanzia, i fattori socioculturali del periodo sovietico e le dinamiche psicologiche che hanno guidato le sue azioni. Un’analisi che non si limita alla cronaca dei suoi crimini, ma che mira a comprendere le radici profonde del suo comportamento attraverso una lente criminologica.
Chi era Andrei Chikatilo
La strana relazione con madre, solita a raccontare episodi macabri ai propri figli, crea una dualità nella personalità di Andreij fin dalla infanzia. Introverso, timido e riservato soffre di enuresi notturna, di disfunzione sessuale ed è spesso violento nei confronti dei compagni. Fervente comunista, nutre un ligio adattamento alla prassi del partito.
Nel 1963 sposa Fayina da cui, inspiegabilmente, avrà due figli e nel 1971 si laurea in Letteratura russa presso la Libera Università di Arte di Rostov. Comincia così la carriera di insegnante, e in contemporanea, a sfogare la sua frustrazione sessuale sui ragazzi.
La differenza tra apparenza e realtà
- marito e padre di due figli;
- compagno comunista;
- laureato in lettere ed insegnante.
Profilo psicologico di Andrei Chikatilo
- un uomo solitario ed insicuro con un’infanzia dolorosa e isolata;
- incapace di avere relazioni con le donne;
- di intelligenza media;
- impotente e con un sadismo tale da potersi eccitare solo guardando la sofferenza delle vittime.
Un climax di violenza
Interrogato insieme ad altri sospettati, venne rilasciato perché dall’apparenza rispettabile. Dal 1980, Chikatilo ricominciò ad uccidere e non smetterà fino al 1990, anno in cui sarà definitivamente arrestato.
Fermato mentre si trovava alla stazione ferroviaria di Rostov, sporco di sangue sulle mani e sul volto, dopo otto giorni di interrogatorio confessa di aver ucciso un totale 55 vittime così ripartite: 21 bambini, 14 bambine e 18 giovani donne.
Profilo criminologico di Andrei Chikatilo
Andrei Chikatilo rappresenta un caso complesso e significativo nello studio dei serial killer, grazie alla combinazione di fattori psicologici, socioculturali e comportamentali che hanno definito il suo profilo criminale.
Chikatilo operava come un predatore organizzato, pianificando meticolosamente i suoi crimini, scegliendo vittime vulnerabili e agendo in modo calcolato per sfuggire alla cattura per oltre un decennio. Tuttavia, dietro questa facciata di controllo, emergeva una personalità profondamente disturbata, segnata da impulsi compulsivi e da un profondo bisogno di esercitare potere sulle sue vittime.
Chikatilo nacque in un contesto di estrema povertà e di privazioni legate alle politiche staliniane, come la terribile carestia dell’Holodomor. La sua infanzia fu caratterizzata da traumi, tra cui la perdita del fratello maggiore, presumibilmente vittima di cannibalismo, e le umiliazioni derivanti da difficoltà fisiche (enuresi notturna e disfunzione erettile).
Questi fattori contribuirono a sviluppare una personalità insicura e introversa, che, nel tempo, si trasformò in una sete patologica di controllo e violenza. La frustrazione sessuale giocò un ruolo chiave: Chikatilo scoprì presto di poter ottenere gratificazione sessuale solo attraverso atti di sadismo, culminando nella brutalità dei suoi crimini.
Metodologia e modus operandi
Chikatilo prediligeva vittime deboli e facilmente manipolabili, come bambini, adolescenti e donne vulnerabili.
Le attirava con promesse di denaro, cibo o altri aiuti, sfruttando l’instabilità sociale del periodo sovietico. Una volta isolate, le aggrediva con una violenza esplosiva, spesso accoltellandole ripetutamente. L’accanimento durante le aggressioni non era solo un mezzo per uccidere, ma una forma di gratificazione personale.
Il suo modus operandi rifletteva un desiderio di controllo totale: l’atto di mutilare le vittime post-mortem rivelava una componente ritualistica, mentre la scelta di zone boschive e isolate come luogo per i crimini dimostrava una chiara intenzione di evitare il rilevamento.
Personalità e psicopatologia
Secondo gli esperti che lo studiarono durante i processi, Andrei Chikatilo soffriva di una combinazione di disturbi psicologici, tra cui probabili tratti di disturbo della personalità antisociale e schizotipico, accompagnati da parafilie come il sadismo e il necrofilismo.
La sua incapacità di empatizzare con le vittime e la razionalizzazione dei crimini come “necessità personali” lo rendono un esempio classico di psicopatia.
Tuttavia, Andrei Chikatilo non corrispondeva al profilo del serial killer che uccide per puro sadismo: il suo comportamento rifletteva anche un tentativo di compensare un senso di inferiorità e fallimento personale. L’omicidio divenne, per lui, un meccanismo di controllo sugli altri, un modo per sentirsi potente in un mondo che lo aveva costantemente umiliato.
Relazione con il contesto socioculturale
L’Unione Sovietica degli anni ’70 e ’80 offriva un contesto unico che contribuì alla lunga impunità di Andrei Chikatilo.
Le carenze nelle indagini criminali, i tabù culturali sul riconoscimento di crimini sessuali e la riluttanza delle autorità sovietiche ad ammettere l’esistenza di un serial killer all’interno del regime socialista furono fattori decisivi nel ritardare la sua cattura.