Violenza sessuale: imputabile il rapporto violento con la compagna
Considerare la propria compagna quasi come fosse una bestia equivale ad una violenza sessuale. Non hanno dubbi i giudici della Cassazione, che con la sentenza n. 40607 del 27 ottobre 2022 hanno condannato un uomo per i suoi discutibili comportamenti nei confronti della convivente.
L’uomo, che considerava la donna al pari di una bestia e che, oltre a trattarla con disprezzo sia fisico che verbale, la costringeva a rapporti more bestiarum, dovrà fare adesso i conti con la conferma della condanna di violenza sessuale.
Analizziamo insieme l’accaduto e la sentenza con la quale la Cassazione ha ritenuto imputabile il rapporto violento con la compagna.
Violenza sessuale ai danni della convivente: il caso
Non vi sono dubbi sulla colpevolezza dell’uomo che, per abitudine, minacciava la compagna e la costringeva a rapporti more bestiarum. La considerazione, da parte dell’uomo, della sua convivente al pari di una bestia, e che ha portato alla conseguenza di trattarla come tale anche durante i rapporti sessuali, ha fatto sì che per l’uomo venisse confermata la condanna per violenza sessuale.
L’uomo soleva infatti imporre alla sua convivente dei congiungimenti carnali basati solamente sul pieno possesso fisico.
A nulla sono valse le obiezioni del legale dell’uomo: il racconto dell’ormai ex convivente è stato accolto come reale e confermato anche dalla figlia.
Quest’ultima ha anche rivelato che l’uomo era in possesso di armi bianche, che utilizzava per esercitare la propria costrizione ai danni della donna.
Si viene a configurare, dunque, non solo il reato di violenza sessuale continuata, ma anche aggravata: l’uso delle armi bianche per costringere la convivente al rapporto rappresenterebbe infatti un’aggravante di cui tener conto.
Tentativi di difesa dell’imputato
Il difensore dell’uomo imputato ha tentato di orientare la sua difesa sul fatto che la donna, in alcuni rapporti, era consenziente.
D’altra parte, nella sentenza stessa non si fa riferimento alla volontà della donna ed al fatto che sia stata schiacciata mediante l’utilizzo di armi bianche.
Tuttavia, secondo il parere dei giudici, il reato di violenza sessuale aggravata e continuata sussiste comunque. È irrilevante, dunque, che in alcune situazioni i rapporti sessuali tra i due fossero consensuali e voluti anche dalla donna.
Questa componente, anzi, mette in luce la vera natura del rapporto della coppia. La donna veniva trattata come un essere inferiore, su cui l’uomo poteva esprimere tutta la propria violenza senza ottenere ribellioni.
Violenza sessuale ai danni della compagna: aggravanti
I giudici della Cassazione hanno peraltro individuato moltissime aggravanti mentre tentavano di ricostruire l’incubo vissuto dalla donna. Hanno aiutato anche i dettagli emersi dai racconti della figlia, che hanno permesso di concludere che la violenza sessuale è stata perpetrata. Sono inoltre emerse numerose aggravanti.
Minacce e vilipendio
Tra quella che viene indicata come “una pluralità di fatti di violenza sessuale” ai danni della compagna convivente, una prima aggravante è individuata nelle minacce alla donna. Una donna che veniva anche insultata e trattata al pari di una bestia. Minacce e vilipendio erano alcuni dei modi in cui l’uomo si assicurava il silenzio dell’ex compagna.
Possesso di armi bianche
Il possesso e l’utilizzo di armi bianche hanno avuto la conseguenza di rafforzare le minacce ai danni della convivente vittima di violenza sessuale.
Possesso che, peraltro, è stato confermato dai racconti della figlia. L’uomo avrebbe utilizzato le armi per rafforzare il vilipendio di tipo verbale ai danni della donna. Avrebbe utilizzato le armi bianche per costringere e illustrare alla donna vittima come l’atto sessuale si sarebbe svolto.
Rapporti more bestiarum
Ultima aggravante individuata dai giudici della Cassazione riguarda i rapporti more bestiarum. Gli episodi di violenza sessuale avvenivano tra le mura della camera da letto e, nonostante la brutalità del rapporto, con cui l’uomo sfogava i propri istinti animali, la compagna era resa di fatto indifesa grazie agli strumenti coercitivi (le armi bianche di cui abbiamo ampiamente parlato).
In questo modo l’uomo si assicurava, mediante minacce, il silenzio della donna.
La modalità di svolgimento dei rapporti è stata indicata dai giudici come altamente lesiva per la dignità della donna, una dignità lesa: altro aspetto che aggrava l’accusa di violenza sessuale.
Mancano i filmati che provano la violenza sessuale
Nonostante il racconto della donna coincidesse con quello della figlia, il fatto che la violenza sessuale avvenisse nella camera da letto e senza testimoni non ha messo in dubbio le parole della donna.
Sono stati ricercati i filmati con cui, secondo la donna, l’uomo aveva l’abitudine di accompagnare le violenze ai danni dell’ex convivente, ma questi non sono stati trovati.
In ogni caso, i giudici della Cassazione non hanno avuto dubbi in merito all’attendibilità dei racconti della donna. Nonostante il mancato ritrovamento dei filmati incriminati, dunque, il racconto della donna è stato giudicato come veritiero senza la necessità di ottenere i filmati come prove schiaccianti.
Infatti, le dichiarazioni delle vittime possono essere poste come fondamento di una eventuale responsabilità penale. È chiaro che è stato preventivamente necessario verificare la credibilità della vittima ma, una volta provata la credibilità, non sono servite altre prove estrinseche.
La condanna per “pluralità di fatti di violenza sessuale”
I giudici della Cassazione, dunque, non hanno potuto far altro che condannare come colpevole il brutale uomo, che dovrà scontare una condanna per violenza sessuale.
La condanna si concretizzerà con una reclusione dell’uomo, per un periodo di cinque anni ed un mese.
Una condanna che arriva dopo che il caso, dal Tribunale è passato in Appello e, infine, alla Cassazione.
Nel 2018, infatti, il Tribunale di Velletri aveva già dichiarato la penale responsabilità dell’uomo in merito ai reati di violenza sessuale a lui contestati, escludendo però come aggravante l’utilizzo delle armi bianche e la recidiva.
Nel 2021, poi, la Corte di Appello di Roma aveva confermato la decisione del Tribunale di Velletri mediante sentenza.
Infine, è arrivata la decisione definitiva dei giudici della Cassazione dopo il tentativo della difesa che ha messo in discussione la sentenza, dato che a differenza dell’accusa non si faceva menzione alle modalità di compressione della libertà utilizzate dall’uomo per annientare la volontà della compagna.
Non vi è dunque nessun dubbio sulla colpevolezza dell’uomo.