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La storia di Ted Bundy, il serial killer che terrorizzò l’America

La storia di Ted Bundy, il serial killer che terrorizzò l’America

Ted Bundy - storia del serial killer americano
  • Sara Elia
  • 21 Dicembre 2024
  • Criminologia
  • 9 minuti

La storia di Ted Bundy, il serial killer che terrorizzò l’America

Tra i più noti assassini seriali della storia americana, Ted Bundy è sicuramente in cima alla lista. Firmatario di almeno trenta omicidi, la sua storia è stata ripercorsa in più di un’occasione sullo schermo.

La sua figura ha scosso profondamente l’America negli anni ’70, rivelando un uomo capace di apparire affascinante e carismatico mentre nascondeva un’anima profondamente oscura. Responsabile di una lunga serie di omicidi brutali, Bundy ha ingannato vittime, autorità e perfino la società che lo circondava, costruendosi un’immagine di normalità che ha reso i suoi crimini ancora più agghiaccianti.

Tra realtà e finzione, luci e ombre, scopriamo insieme la vera storia del killer delle studentesse!

Indice
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Chi è Ted Bundy

Ted Bundy, il serial killer americano passato alla storia in senso negativo per aver ucciso almeno 30 vittime, viene spesso narrato come uomo a metà tra fascino, violenza e necrofilia.
 
Il cosiddetto “killer delle studentesse“, omicida seriale con decine di donne rapite, violentate e uccise senza pietà sulla coscienza, riusciva ad ingannare chiunque gli ruotasse intorno.
Non solo le sue prede ma anche forze dell’ordine, media e il sistema di giustizia penale
.
 
Il 4 gennaio 1974 avviene il suo primo tentato omicidio, ai danni della diciottenne Joni Lenz, picchiata con una spranga nel suo letto. La giovane riuscì a salvarsi ma ciò non accadde per tutte le altre donne che uccise dal 1° febbraio 1974: Donna Gail Manson, Brenda Carol Ball, Nancy Wilcox, Laura Ann Aime, Susan Curtis e molte altre.
 
Ted Bundy abbordava studentesse universitarie, attraenti, di carnagione chiara e con capelli lunghi, dopo aver studiato a lungo le loro abitudini e i loro vissuti. Il modus operandi era sempre lo stesso, alternando due metodi: o si fingeva in difficoltà, ad esempio disabile o infortunato, o impersonava figure autoritarie come poliziotti.
Dopo aver attirato la preda, la stordiva, ammanettava e trasportava in un luogo isolato dove, dopo aver ripreso coscienza, sfogava le sue pulsioni sessuali.
Infine, la uccideva strangolandola e le tagliava la testa per poi spesso commettere atti di 
necrofilia.

Profilo psico-biografico: infanzia e adolescenza

Ted Bundy, il cui vero nome è Theodore Robert Cowell, nasce il 24 novembre del 1946 nel Vermont. Figlio illegittimo, viene prima affidato a una coppia di estranei e poi ai nonni dove erano frequenti maltrattamenti e violenze. Nel 1950 si trasferisce nello Stato di Washington, dove la madre si innamora e sposa il cuoco John Culpepper Bundy, disprezzato da Ted per la scarsa istruzione e per il poco denaro. 
 
Durante l’adolescenza, il ragazzo si contraddistingue per la sua intelligenza ma inizia a mostrare comportamenti violenti, difficoltà ad instaurare rapporti con le ragazze e, soprattutto, utilizzare materiale pornografico.
È infatti proprio l’influenza di questi giornali modifica il comportamento di Bundy prendendo possesso dei suoi pensieri.
In seguito, il serial killer ammetterà infatti di essere passato all’azione perché non gli era più sufficiente rimanere spettatore passivo di scene lascive stampate sulla carta.
 
Terminato il liceo, Ted Bundy si laurea in Psicologia e prova a farsi strada in politica, per la precisione nel Partito Repubblicano.
Nel 1969, all’età di 23 anni scopre di essere figlio illegittimo, perdendo il rapporto con madre, accusata per tutte le bugie raccontate per anni. Si tratta di un momento spartiacque, uno scossone dal punto di vista psicologico che scatena una rabbia incontrollata.

Il ruolo della pornografia

Come è già in parte evidente dopo aver analizzato la vita di Ted Bundy, il profilo psicologico di Bundy cela dei tratti disturbanti. Nello specifico egli è caratterizzato da alcuni tratti tipici della vita del serial killer:
  • famiglia problematica;
  • traumi infantili e adolescenziale;
  • perversioni sessuali;
  • tipizzazione della vittima;
  • uso di stratagemmi e conversazioni per adescare la vittima;
Uno degli elementi caratterizzati è l’utilizzo massiccio della pornografia, come da sua stessa ammissione, in parte causa dei comportamenti omicidiari. 
 
Occorre precisare che, di per sé, l’esposizione a stimoli pornografici non è uno strumento che si connette alla violenza soprattutto nei casi in cui la persona che ne fa uso, non abbia una qualche forma di devianza pregressa. 
La relazione tra pornografia ed omicidio, infatti, sussiste solo quando:
  • la vittima viene tipizzata come “oggetto”, ritraendo delle vittime che subiscono dolore;
  • si coinvolgono violenza ed atti di violenza sessuale, abituando la mente all’associazione spontanea tra i due fattori.
In questo caso, si cerca qualcosa di sempre più stimolante che aumenti lo stato di eccitazione, rafforzando nel tempo la probabilità di mettere in atto effettivamente comportamenti non idonei.
La ri-esposizione allo stimolo, inoltre, porta ad uno degli effetti più gravi nella dipendenza: assuefazione e desensibilizzazione. Tale schema è infatti sempre frequente nell’omicida seriale.

Ted Bundy e il culto di sé

I tentativi di allontanare da sé la reputazione di essere umano riprovevole sono sempre stati l’obiettivo centrale del serial killer, affetto in modo evidente da narcisismo.
Ted Bundy, infatti, per difendersi usava la strategia del personaggio riflessivo dai modi gentile che parla di sé in terza persona dispensando consigli di buon senso per far sì che altri come lui non circolino più per le strade.
Era inoltre interessato a spiegare, e forse anche per spaventare, che le persone del suo genere non erano una specie di mostri nati, ma cresciuti in famiglie normali.
 
“Vengo da una famiglia perfetta… Non c’è ragione per quello che ho fatto. Siamo i vostri figli, i vostri mariti e siamo cresciuti in famiglie normali”.
 
Ma più tentava di porsi come il bravo ragazzo traviato dalle devianze altrui, più emergeva la sua sociopatia. Non riusciva infatti mai a provare rimorso né senso di colpa per le sue azioni nate per compiacere le proprie pulsioni.
 
Ted Bundy,arrestato definitivamente il 15 febbraio del 1978, dopo due precedenti fughe, confesserà di aver ucciso almeno altre 26 studentesse solo poco prima di morire per la sua condanna alla pena di mortesulla sedia elettrica per due omicidi.

Profilo criminologico di Ted Bundy

Ted Bundy è considerato uno dei più complessi e inquietanti serial killer del XX secolo, con un profilo criminologico che riflette tratti distintivi della psicopatia e un modus operandi meticoloso. Dietro il suo aspetto curato e il suo atteggiamento carismatico, si celava una mente manipolatrice, capace di pianificare con precisione i suoi crimini e sfuggire per lungo tempo alla giustizia.

Bundy era un manipolatore nato, capace di conquistare la fiducia delle sue vittime grazie a un’apparenza di normalità e gentilezza. Il suo fascino era uno strumento di controllo che gli permetteva di avvicinarsi alle vittime, spesso giovani donne, e di renderle vulnerabili. La mancanza di empatia e il piacere tratto dal dominio e dalla sofferenza altrui sono tratti tipici del suo profilo psicopatico.

Modus operandi

Ted Bundy sviluppò un modus operandi meticoloso e ripetitivo, che univa astuzia, manipolazione e violenza estrema. Il suo approccio era studiato per massimizzare il controllo sulle sue vittime e minimizzare il rischio di essere scoperto.

Bundy spesso si fingeva ferito o bisognoso di aiuto, ad esempio con un braccio ingessato o utilizzando stampelle, per suscitare la compassione delle sue vittime, che erano generalmente giovani donne. Questo trucco gli permetteva di avvicinarsi a loro in luoghi pubblici, come campus universitari, parcheggi o strade trafficate. Una volta conquistata la loro fiducia, le conduceva verso la sua auto, un Maggiolino Volkswagen, che era appositamente modificato: mancava della maniglia interna sul lato passeggero, rendendo impossibile per le vittime aprire la portiera dall’interno.

Dopo averle immobilizzate o colpite per perdere i sensi, Bundy portava le sue vittime in luoghi isolati, spesso foreste o aree remote, dove poteva agire senza essere disturbato. I suoi crimini erano caratterizzati da una combinazione di strangolamento, percosse e, in molti casi, necrofilia post-mortem. Era noto per tornare sulle scene del crimine per rivisitare i corpi delle sue vittime, un comportamento che evidenzia il suo bisogno di controllo e il piacere tratto dalla ripetizione dell’atto.

Bundy mostrava inoltre una capacità inquietante di adattarsi e cambiare metodo per sfuggire alla cattura.
Ad esempio, dopo che il profilo delle sue vittime cominciò a emergere (donne giovani, capelli lunghi divisi in mezzo), iniziò a scegliere vittime di età diversa o con caratteristiche leggermente differenti per confondere le indagini. Nei suoi crimini finali in Florida, abbandonò le tattiche di manipolazione e passò a un approccio più impulsivo e brutale, attaccando vittime in un dormitorio universitario senza preoccuparsi della discrezione, un segno della crescente perdita di controllo.

Questo modus operandi mostra una combinazione di pianificazione fredda e impulsi violenti, tipica di molti serial killer, ma la capacità di Bundy di adattarsi e variare le sue strategie lo rese particolarmente pericoloso e difficile da catturare.

Escalation dei crimini

Ted Bundy rappresenta un caso esemplare di escalation criminale, un fenomeno comune nei serial killer, in cui la frequenza, la violenza e la complessità degli atti delittuosi aumentano nel tempo. Nel caso di Bundy, questa progressione è stata caratterizzata da una crescente audacia, una riduzione dei tempi di raffreddamento tra un crimine e l’altro e un’escalation nella brutalità degli atti commessi.

Inizialmente, Bundy adottava un approccio più cauto e metodico, scegliendo con attenzione le sue vittime e agendo in situazioni in cui aveva il massimo controllo. Tuttavia, con il passare del tempo, la necessità compulsiva di soddisfare i suoi impulsi omicidi prese il sopravvento, portandolo ad assumere comportamenti sempre più rischiosi.

La prima escalation significativa si manifestò con un aumento della frequenza degli attacchi.
Se i primi crimini erano intervallati da periodi più lunghi, col tempo Bundy iniziò a colpire con maggiore regolarità, arrivando a commettere omicidi a pochi giorni di distanza. Questo aumento di frequenza è un segnale tipico nei serial killer, legato alla perdita di controllo e al rafforzamento della dipendenza dal potere e dalla violenza.

Un altro aspetto della sua escalation fu il passaggio da crimini relativamente circoscritti a veri e propri atti di brutalità estrema.
Bundy non si limitava a uccidere: la mutilazione dei corpi e il coinvolgimento in atti di necrofilia post-mortem dimostrano un crescente piacere nel dominio totale sulla vittima, sia durante che dopo la morte.
La scena del massacro nel dormitorio della Chi Omega in Florida rappresenta il culmine della sua escalation: un attacco impulsivo e caotico, che segnò un chiaro abbandono delle strategie meticolose adottate in precedenza. In quella notte, Bundy uccise due donne e ne ferì gravemente altre due in un lasso di tempo estremamente breve, agendo senza preoccuparsi delle conseguenze.

Infine, l’escalation nei crimini di Bundy fu accompagnata da una progressiva perdita di discrezione. Inizialmente, si muoveva con estrema attenzione, nascondendo ogni traccia. Tuttavia, negli ultimi anni della sua attività criminale, la sua sicurezza e il senso di onnipotenza lo portarono a commettere errori, come l’abbandono di indizi evidenti e l’aumento della violenza pubblica, che contribuirono alla sua cattura.

Questo schema di escalation rivela molto sul profilo criminologico di Ted Bundy: un uomo capace di pianificare i propri atti con precisione, ma che alla fine non riuscì a contenere gli impulsi distruttivi che lo guidavano, diventando sempre più disorganizzato e impulsivo.
Questo percorso lo rese ancora più pericoloso e rappresenta uno degli elementi chiave che rendono il suo caso un oggetto di studio centrale nella criminologia.

Bundy era altamente intelligente, un aspetto che lo aiutò a manipolare sia le vittime che il sistema legale. Riuscì a evadere dalla custodia della polizia in più occasioni, sfruttando astuzia e sangue freddo. La sua laurea in psicologia gli fornì ulteriori strumenti per comprendere e sfruttare le vulnerabilità delle sue vittime.

 

Come anticipato fin dall’inizio, il profilo criminologico del “killer delle studentesse” rivela un uomo privo di rimorsi, guidato da un profondo desiderio di controllo e violenza.
La sua capacità di presentarsi come un cittadino modello, persino durante i processi, lo ha reso un simbolo di quanto possa essere insidioso il male nascosto dietro una maschera di normalità. Ancora oggi, il caso di Bundy è oggetto di studio nel campo della criminologia, per comprendere meglio i segnali di pericolo e prevenire tragedie simili.

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