Solitudine digitale: cos'è e 5 dati chiave del Garante della privacy
Il tema della solitudine digitale si sta allargando man mano che si nota la sua diffusione soprattutto fra le fasce di età più giovani. Si tratta quasi di una problematica sviluppatasi in parallelo all’iperconnessione e che le è direttamente correlata. Dato che tutto si svolge tramite pc o smartphone anche i rapporti sociali stanno seguendo la stessa strada.
Per arrivare a preoccupare anche il presidente dell’Autorità per la privacy però il rilievo che ha assunto questo fenomeno non è da poco. Il timore è che senza la giusta mediazione da parte di sviluppatori e adulti i ragazzi via via perdano il contatto con la realtà.
La solitudine digitale: caratteristiche del problema
Non serve spiegare cosa sia la solitudine, fin troppo nota a chi ha la famiglia lontana o gli amici che si sono trasferiti. Si crea però un paradosso nel momento in cui non si hanno troppi contatti dal vivo ma al tempo stesso il telefono esplode di notifiche. Cuori e reazioni alle foto, audio interminabili…eppure non si esce e non ci si incontra più come prima.
Se già le basi c’erano forse la pandemia e i lockdown hanno portato al peggioramento del fenomeno. La solitudine digitale si accompagna anche al fenomeno del cyberbullismo, per cui un video o una foto online possono rovinare qualcuno. Non ci si confronta faccia a faccia e attraverso uno schermo aumentano gli equivoci.
Via rete si parla, ci si offende e si rompono rapporti semplicemente con dei messaggi tanto che dal vivo sembra che per molti sia diventato difficile rapportarsi. Soprattutto fra i ragazzi si sta diffondendo la socialità attraverso lo smartphone più che quella reale, basti pensare alle challenge su TikTok.
Per questo il Garante della privacy ha voluto lanciare un’appello alle famiglie per dare dei limiti ai figli per il tempo di connessione. In particolare a preoccupare quest’autorità sono il metaverso e l’avvento della realtà virtuale, temendo una modifica a livello antropologico.
Le ispezioni su Internet e il protocollo per la sicurezza
Oltre al problema della solitudine digitale ci sono altri pericoli a cui stare sempre attaccati al web espone direttamente. Proprio il fatto che sempre più persone visitino siti web o canali social porta anche il numero dei controlli ad aumentare. In un anno, tra il 2021 e il 2022, il numero di questi è diventato tre volte tanto (140 in tutto)
Questo nonostante il 2021 sia stato l’anno in cui le zone gialle, arancioni e rosse hanno costretto milioni di persone a lavorare da casa. Ora si fanno quindi i conti con le modifiche che lo stato di emergenza ha portato per professionisti e famiglie. Le ispezioni sono state dovute a varie ragioni, tra cui il telemarketing e l’utilizzo dei cookie.
Non stupisce quindi che ci sia una seconda cifra fornita dal Garante che preoccupa più della solitudine digitale. Vale a dire il numero delle azioni di violazione dei dati personali, definite data breach in linguaggio tecnico. In tutto queste sono risultate ben 1351, come risultato di quelle compiute nel settore sia pubblico che privato.
Per contrastare questo fenomeno il Garante per la privacy ha firmato giusto lo scorso anno un protocollo d’intesa insieme all’Agenzia nazionale per la sicurezza. In questo modo si spera che la cybersecurity migliori presto e i dati personali degli italiani risultino più protetti.
La solitudine digitale e le identità virtuali
Se ci sono dei software che l’autorità guarda con forte sospetto allora questi sono i chatbot. Sulla bocca di tutti c’è da mesi la creatura di OpenAI (ChatGpt) ma si tratta solo di uno dei più famosi quando ne esistono molto altri, e alcuni sono sul web da anni. Tra i più pericolosi in particolare ci sono quelli che i ragazzini usano per parlare online.
Un esempio perfetto si chiama Replika, un’applicazione chatbot che già nella descrizione si presenta come un “migliore amico virtuale”. Gli sviluppatori dell’app si sono spinti a dire che è il compagno perfetto per stare a proprio agio…peccato che non esista. In più questa presentazione sembra quasi incoraggiare la solitudine digitale.
Onde evitare che simili software continuino a diffondersi è sembrata emblematica la sanzione applicata a Clubhous, un social network peculiare. La ragione di fondo è che la società non gestisse in maniera trasparente i dati degli utenti, ma ormai il suo successo è venuto meno.
Clubhous era celebre perché alle chat scritte favoriva invece gli audio, una funzionalità gradita durante il lockdown per poter parlare anziché scrivere messaggi e basta. Ormai però il suo tempo pare finito, tanto che ha dovuto tagliare il personale di metà.