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La sindrome di Munchausen per procura e il caso di Gypsy Rose

La sindrome di Munchausen per procura e il caso di Gypsy Rose

sindrome di Munchausen per procura
  • Sara Elia
  • 6 Giugno 2024
  • Criminologia
  • 4 minuti

La sindrome di Munchausen per procura: simulare o ingigantire i sintomi di una malattia

Il caso di Gypsy Rose Blanchard, la bambina che per vendetta uccise la madre che le faceva credere di essere malata, ha riportato all’attenzione la sindrome di Munchausen per procura.

 

Scopriamo insieme di cosa si tratta, quali sono le caratteristiche principali per riconoscerla e come curarla!

Indice
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Che cos’è la sindrome di Munchausen per procura

La sindrome di Münchausen per procura è un disturbo psichiatrico e comportamentale.
Essa induce chi ne è affetto a provocare dei sintomi o a inscenarne di inventati, in persone dipendenti dalle sue attenzioni e cure, al solo scopo di attrarre l’attenzione.
 
In altre parole, i soggetti causano o inventano sintomi di malattie a carico delle persone dipendenti dalle loro cure. Tutto ciò può fare del male alla vittima tramite la somministrazione di farmaci e altre sostanze.
 
A livello generale, tale disturbo fittizio, ha come protagonisti un adulto portatore della malattia e un individuo di giovanissima età che è la vittima.
Un esempio tipico è quello di una madre che, per mettersi al centro dell’attenzione, provoca volontariamente dei sintomi nei propri figli, diventando a tutti gli effetti la causa del cattivo stato di salute di quest’ultimi.
 
Come è evidente, oltre ad essere una malattia psico-comportamentale, costituisce anche una forma di abuso vero e proprio perseguibile per legge.
 
La sindrome di Munchausen per procura si differenzia dalla tradizionale sindrome di Münchausen.
Quest’ultima induce un soggetto a lamentare malattie fisiche o psicologiche inesistenti, o a farsi deliberatamente del male, solo per porsi al centro della scena.
 
La diagnosi della malattia non è affatto semplice, in quanto i pazienti tendono a fingere in modo estremamente convincente.

Sintomi e cause 

Pur non essendo attualmente del tutto chiare, gli esperti imputano l’insorgenza della sindrome di Münchausen per procura a tre possibili circostanze

  • infanzia particolarmente travagliata: contraddistinta da un grave trauma affettivo, come la perdita prematura di un genitore, o emotivo come una violenza fisica. Possibile anche che si abbia avuto una malattia per la quale sono state praticate lunghe cure mediche;
  •  presenza di un qualche disturbo della personalità: un problema di salute mentale che porta il soggetto a nutrire comportamenti e pensieri anomali. Tra questi, soprattutto il disturbo antisociale di personalità, narcisistico o borderline;
  • situazione fonte di un forte stress: ad esempio separazione dal coniuge o la scoperta di soffrire di una grave malattia. Possibile anche che si abbia avuto una malattia per la quale sono state praticate lunghe cure mediche;

I sintomi della sindrome di Münchausen per procura consistono in comportamenti anomali, che incidono sullo stato di salute della vittima da egli dipendente. Tra questi troviamo:

  • alterare gli esami diagnostici manipolandone i risultati;
  • sottoporre la vittima senza ragione a trattamenti invasivi e pericolosi;
  • enfatizzare un banale malessere descrivendolo come un sintomo molto grave;
  • inventare ex novo uno o più disturbi;
  • intossicare mediante somministrazioni segrete tramite cibo e bevande di farmaci o sostanze nocive per la salute;
  • procurare infezioni.

Diagnosi e terapia

Diagnosticare la sindrome di Münchausen per procura non è affatto facile e richiede molte indagini da parte di medici, psichiatri, psicologi e assistenti sociali. Questo perché le persone affette dalla malattia sanno celare bene le proprie problematiche, e conoscono vari modi per procurare danno alle loro vittime senza destare sospetti.

Il riconoscimento di un caso di malattia impone la denuncia del paziente alle forze dell’ordine. La priorità è, infatti, mettere al sicuro la vittima. Solo dopo di ciò, i medici possono dedicarsi al trattamento del paziente.

Per guarire, serve notevole collaborazione da parte del malato, il quale deve rendersi conto di di aver bisogno di un aiuto. Il trattamento si basa principalmente sulla psicoterapia cognitivo-comportamentale. L’esperto ha il compito di indagare profilo psichiatrico, infanzia e vita sentimentale del paziente con l’intenzione di capire se esiste un bisogno di ricevere attenzioni. L’obiettivo è quello di insegnare come identificare, dominare e prevenire i comportamenti problematici, chiamati in gergo specialistico, “comportamenti disattivi” e “pensieri distorti”, indotti dalla malattia mentale.

Inoltre, è di aiuto nel fornire un metodo di individuazione dei fattori che scatenano i comportamenti patologici. La psicoterapia cognitivo-comportamentale prevede una parte in studio con lo psicoterapeuta e una a casa, riservata all’esercizio e al miglioramento delle tecniche di dominio.

Il caso di Gypsy Rose Blanchard

Gypsy Rose Blanchard nasce nel 1991 in Louisiana. Sua madre soffre di sindrome di Munchausen per procura ed è certa che la figlia soffra di una malattia cromosomica. Crescendo, le diagnostica altre problematiche tra cui leucemia, distrofia muscolare, asma, convulsioni e difetti uditivi e visivi.

Per questi motivi, Gypsy subisce angherie quali:

  • stare su una sedia a rotelle
  • alimentazione tramite sonda gastrica
  • perdita dei denti per via dei numerosi farmaci inutilmente somministrati

La madre le rasa periodicamente i capelli in modo da imitare l’aspetto di una paziente chemioterapica. Pubblicizzando la falsa condizione della figlia, riceve inoltre l’appoggio economico da diverse associazioni benefiche.  

Gypsy è sola: non ha altri parenti o amici né frequenta la scuola, per via della sua apparente condizione di salute precaria. Inizia però a frequentare il mondo social e conosce così un suo coetaneo Nicholas Godejohn. La ragazza si confida con lui ed insieme architettano un piano omicida.

Il 14 giugno 2015, la polizia viene allertata in seguito ad un inquietante post su Facebook pubblicato dal profilo condiviso dei due giovani “That Bitch is dead!”. In casa viene ritrovato il corpo esanime della donna e Gypsy, prima fuggita, viene ritrovata il giorno dopo e confessa, raccontando l’intera storia.
Condannata a dieci anni di carcere, è da poco tornata libera.

 

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