Hate Speech: definizione del fenomeno nella criminologia
Le espressioni di intolleranza, cosiddette “Hate Speech”, in tempi odierni stanno aumentando in maniera preponderante con l’amplificarsi dell’ utilizzo di tecnologia e social media. La colpa è solo della comunicazione online?
Che cosa significa Hate Speech
Nonostante ad oggi non esista una definizione universale, con il termine l’Hate Speech si intende un insieme di forme espressive chi diffondono l’odio incitandolo, creandolo o giustificandolo tramite qualsiasi mezzo. L’Hate Speech denigra solitamente singoli o minoranze, colpendo la diversità e andando contro la democrazie e il rispetto delle libertà costituzionali.
Uno dei motivi per cui questo fenomeno è purtroppo in costante crescita è da ascrivere a una fondamentale mancanza di educazione digitale. Le norme di civile convivenza dovrebbero valere anche sul web, per evitare un incremento di utilizzo ingannevole dei social network. L’apporto più importante in tema di educazione digitale in tempi moderni, se non l’unico, risale al 2017. In quest’anno infatti viene introdotta una legge contenente disposizioni a tutela dei minorenni per prevenire e contrastare il cyberbullismo. Il testo aggiunge una serie di misure a sfondo educativo e formativo per fornire una maggiore consapevolezza sul tema Hate Speech.
Il problema attuale a proposito dell’ Hate Speech comprende sia singoli sia gruppi di minoranze . Ma se c’necessita di trovare un carnefice, la colpa va ascritta alla società in toto. Il problema diventa sociale in quanto erode la coesione all’interno della collettività, abbassando il livello della qualità di dibattito pubblico. Inoltre figure pubbliche che tendono a influenzare le masse condividono, tramite i media e sempre di più tramite i personali profili social, idee e posizioni ascrivibili all’odio.
Iniziative per contrastare l’Hate Speech
Il problema del Hate Speech è talmente tangibile che persino le Nazioni Unite sono intervenute per combatterlo. Nel 2018 hanno elaborato un supporto attivo per ricollocare la situazione con l’obbiettivo di trovare le cause del fenomeno. Per contrastare l’Hate Speech si è dunque ritenuto necessario:
- promuovere il Counter Speech, ovvero una sorta controdiscorso che proponga una narrazione alternativa per contrastare l’ incitamento all’odio e la disinformazione;
- valorizzare le attività di advocacy, ovvero il supporto su vari fronti in protezione delle vittime.
Sulla scia del Consiglio d’Europa si sono susseguite varie campagne di sensibilizzazione verso i giovani, più o meno funzionanti, contro l’istigazione all’odio on-line, mezzo ormai preponderante di comunicazione.
Normative a riguardo
La Costituzione stessa, in senso ampio, riguarda questo ambito nei suoi principi fondamentali di Diritti e Doveri dei Cittadini. Ma ciò non basta, in quanto non reso esplicito nei suoi dogmi.
Purtroppo ad oggi, rimane un vuoto normativo a riguardo di un problema sempre più grave come l’Hate Speech. Il punto fondamentale per cui non esiste una normativa specifica va ricercato nel fatto che contrastare il fenomeno significa in parte limitare la libertà di manifestazione di pensiero.
Per ovviare in parte al problema, è stato prezioso l’intervento dell’Unione Europea, che si è mossa attivamente per bloccare il fenomeno tramite l’istituzione nel 2016 della Commissione sull’Intolleranza, la Xenofobia, il Razzismo e i Fenomeni d’Odio. Presieduta da Laura Boldrini e formata da rappresentanti provenienti dal Consiglio d’Europa, dalle Nazione Unite, dall’Istat e dai gruppi politici di rilievo contingente, con scopo principale una sensibilizzazione maggiore nel contrastare il linguaggio dell’odio. Dall’analisi sviluppatasi venne elaborata una piramide dell’odio composta, partendo dal fondo per arrivare in cima:
- stereotipi di genere;
- false rappresentazioni della realtà;
- forme espressive ostili banalizzate;
- discriminazioni;
- veri e propri crimini.
Nel 2017 la relazione fu approvata dalla Commissione con tale risultato:
- la sanzione penale nel nei confronti di ogni campagna d’odio, contro singoli piuttosto che gruppi;
- l’obbligo di creazione di istituzioni d’ufficio che controllino i social network, ricevano segnalazioni e cancellino, ove necessario, contenuti inappropriati;
- l’invito ai media di agire al meglio e con cognizione di causa per evitare la diffusione di notizie false e/o diffamatorie.
Per quanto riguarda il controllo dei social network sono state rivelate alcune criticità insormontabili. Il codice di condotta conseguente ha infatti trovato forti difficoltà nel gestire il labile equilibrio tra la rimozione di materiale inappropriato e la preservazione del diritto d’espressione. Ed è anche da tenere in considerazione un altro limite: spesso gli utenti colpevoli di Hate Speech si spostano per continuare la loro azione denigratoria su altri social network, non soggetti a nessun controllo.
Un po’ di dati
Nel 2019 sono state condotte alcune interviste in tutti i Paesi Europei. I risultati ottenuti sono allarmanti, soprattutto per quanto riguarda la situazione in Italia. Dall’analisi realizzata si evidenzia infatti un tasso di discriminazione molto più alto in Italia rispetto al resto dei paesi dell’Unione Europea. Questo record negativo è percepito soprattutto nei confronti di persone di etnia Rom, di colore della pelle diverso e appartenenti al gruppo LGBTQ+.
Per analizzare il risultato bisogna anche prendere in considerazione il contesto culturale e la situazione contingente. Sono infatti riportate maggiori percentuali di dichiarazioni d’odio in contesti medio-bassi e/o con scarso accesso all’informazione. Un’ampia maggioranza di intervistati, inoltre, si è dichiarata rassegnata alla violenza in rete reputandola un nuovo modo di comunicazione.
Non ci resta che sperare in una consapevolezza maggiore e la possibilità di un futuro più roseo e privo di discriminazioni.