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Il risultato dell’esperimento carcerario di Stanford: l’effetto Lucifero di Zimbardo

Il risultato dell’esperimento carcerario di Stanford: l’effetto Lucifero di Zimbardo

effetto Lucifero - l’esperimento carcerario di Stanford
  • Sara Elia
  • 24 Marzo 2025
  • Criminologia
  • 5 minuti

Effetto Lucifero: cosa spinge le persone ad essere cattive

Il risultato dell’esperimento carcerario di Stanford ha scosso profondamente il mondo della psicologia sociale, portando alla luce un inquietante fenomeno noto come effetto Lucifero.
Condotto nel 1971 dallo psicologo Philip Zimbardo, lo studio aveva l’obiettivo di osservare il comportamento umano in un contesto di prigionia simulata. I risultati furono così estremi da sollevare interrogativi profondi sul potere, sull’identità e sulla facilità con cui le persone possono trasformarsi in carnefici.

L’effetto Lucifero descrive proprio questo passaggio: come individui apparentemente normali possano compiere azioni crudeli quando immersi in un determinato contesto sociale e psicologico.

In questo articolo esploreremo cosa accadde durante l’esperimento e perché l’effetto Lucifero resta ancora oggi un tema centrale nel dibattito sulla natura umana.

 
Indice
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L’esperimento carcerario di Stanford di Philip Zimbardo

Nel 1971 lo psicologo Philip Zimbardo e il suo team di collaboratori diedero vita all’esperimento di Stanford con l’obiettivo di capire come
l’influenza sociale del gruppo di appartenenza condizioni il comportamento dei singoli membri.
 
Nello specifico, il gruppo desiderava verificare se l’ambiente carcerario influenzasse i comportamenti anomali o se questi fossero provocati da caratteristiche delle singole personalità di detenuti e guardie.
 
Per realizzare l’esperimento vennero:
  • selezionati 24 studenti in salute e lontani dallo stile di vita delinquenziale;
  • suddivisi in detenuti e guardie penitenziarie, con tanto di uniformi appropriate;
  • realizzata una riproduzione di un istituto penitenziario con celle all’interno dell’Università di Stanford. 
A chi impersonificava le guardie venne poi chiesto di infliggere finte scariche elettriche sui carcerati ogni volta che questi sbagliavano la risposta a un esercizio.
Il forte crollo emotivo dei detenuti fu fin da subito evidente perché le guardie mostravano eccessivi episodi sadici di violenza e prevaricanti nei loro confronti.
 
Lo studio dimostrò quindi che i prigionieri erano inclini a sperimentare de-individuazione, impotenza, depressione e comportamento sottomesso. Al contrario, le guardie sviluppavano un maggior senso di potere imponendo atti costrittivi, giustificando il tutto con il fatto che fossero stati a loro impartiti dall’esterno.

Che cos’è l’effetto Lucifero

L’esperimento carcerario di Stanford sarebbe dovuto durare 14 giorni ma venne interrotto durante la prima settimana.
Le guardie, infatti, avevano assunto un atteggiamento violento e sadico che avevano provocato a molti detenuti un forte crollo emotivo.
 
Cosa era successo a quegli individui equilibrati fino ad allora privi di comportamenti anomalo?
 
Il risultato della sperimentazione viene chiamato “effetto Lucifero” e dimostra come persone buone possano compiere atti disumani.
La malvagità non è determinata solo da chi siamo, ma anche dalla situazione specifica in cui ci si trova. Quando una persona assume un determinato ruolo in una situazione specifica, si trasforma in quel ruolo rendendolo la sua stessa identità.
 
In questo senso, quindi, la causa della trasformazione delle persone da buone a cattive è il sistema in cui si trovano e la loro relazione con il potere. Fattori situazionali e circostanziali possono condurre persone normali e buone a compiere del male, spinti da alcune forze psicologiche. Allo stesso modo, anche le persone cattive possono ricredersi tramite aiuto e riabilitazione.
In particolare, la prigione è un luogo di potere: le guardie possono e devono dominare i prigionieri e quest’ultimi, se provano a ribellarsi, alla fine vengono sempre prevaricati.

Effetto Lucifero ed aggressività situazionale

Come abbiamo visto finora, anche persone tendenzialmente di sani principi, se esposte a determinati contesti, situazioni e ruoli ricoperti possono compiere azioni sregolate attraverso un meccanismo definito “aggressività situazionale” che si riscontra nell’effetto Lucifero. 
 
In generale, l’aggressività è un comportamento tipico dell’essere umano, messo in atto soprattutto in determinate situazioni e contesti sociali.
Prendendo in esame l’esperimento di Zimbardo, l’appartenenza al gruppo delle guardie, socialmente adibito al controllo, favorisce la messa in atto di comportamenti aggressivi e la deresponsabilizzazione degli stessi in quanto sussiste la presenza di un soggetto terzo che impartisce gli ordini.
 
Questa, ed altre situazioni simili, favorisce la perdita della soggettività individuale e conduce alla percezione di mancanza di responsabilità delle proprie azioni. In quest’ottica, indagare come pensieri, sentimenti e azioni dei singoli individui possono essere influenzati dalla presenza reale o implicita di altri soggetti permette di comprendere come la società può condizionare le nostre vite.
 
Di certo, il bene ed il male fanno e faranno sempre parte della condizione umana. Ogni singolo individuo è in grado di compiere entrambe le azioni così da comprendere che, in specifiche situazioni e contesti, la loro linea di separazione non è poi così netta e scissa.

Carcerazione ed effetto psicologico della carcerazione

L’effetto Lucifero viene vissuto di frequente in prima persona dalle persone realmente detenute. Ad oggi, inoltre, le condizioni delle carceri non sono le migliori né per i detenuti né per le guardie.
Queste istituzioni sono infatti in grado di influenzare fortemente gli individui al suo interno, in particolare creando situazioni che portano alla perdita della propria individualità.
Spesso, infatti, si finisce per aderire alle caratteristiche del proprio gruppo di appartenenza in modo standardizzato e rigido. Se nelle guardie tutto ciò può portare a comportamenti prevaricanti e messa in atto di punizioni perverse, nei detenuti, invece, le emozioni di rabbia, tristezza, ansia e paura prendono spesso forma di un’apatia generale.
 
In questo contesto, è di certo necessario un supporto psicologico adeguato sia alla riabilitazione sia del detenuto sia alla salute psicologica degli operatori carcerari stessi.
Il compito di un professionista è, da una parte, quello di offrire interventi di cura e di sostegno indirizzati anche alla rieducazione per un futuro reinserimento nella società. Dall’altra, di fornire assistenza al personale penitenziario per ciò che riguarda problemi sul lavoro e prevenzione del burnout.
 
Di certo, ad oggi, portare avanti questi obiettivi non è semplice sia a causa del sovraffollamento delle carceri, sia per il grosso impegno che richiede lo smantellamento di un vecchio sistema fatto di punizioni e poca attenzione ai diritti umani.
 
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