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Delitto di Cogne: il caso Franzoni – un’analisi criminologica

Delitto di Cogne: il caso Franzoni – un’analisi criminologica

delitto di Cogne - analisi criminologica del caso Franzoni
  • Sara Elia
  • 21 Gennaio 2025
  • Criminologia
  • 6 minuti

Delitto di Cogne: il caso Franzoni – Un’analisi criminologica

Il delitto di Cogne rappresenta uno dei casi di cronaca nera più emblematici e discussi in Italia, sia per la brutalità dell’evento, sia per la complessità delle dinamiche che lo hanno caratterizzato. L’omicidio del piccolo Samuele Lorenzi, avvenuto il 30 gennaio 2002 nella tranquilla frazione di Montroz, ha sconvolto l’opinione pubblica e attirato l’attenzione dei media, sollevando interrogativi ancora oggi dibattuti.

In questo articolo, analizzeremo il caso dal punto di vista criminologico, esplorando gli aspetti psicologici, comportamentali e sociali legati alla figura di Annamaria Franzoni, condannata per il delitto. Attraverso la lettura dei fatti, delle perizie e delle sentenze, cercheremo di comprendere le dinamiche che hanno condotto a questo tragico evento e le motivazioni alla base delle scelte compiute.

L’analisi criminologica offre uno sguardo approfondito su un caso che continua a far discutere per la sua complessità e le sue implicazioni umane, sociali e giudiziarie.

Indice
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Delitto di Cogne: i fatti

Annamaria Franzoni la mattina del 30 gennaio del 2002 dalla sua casa di Cogne in Val d’Aosta, chiama il 118 dicendo che suo figlio stava vomitando sangue. Quando i soccorsi arrivano, trovano Samuele Lorenzi di tre anni con una grande ferita alla testa, dichiarandolo dopo poco tempo morto.
 
Annamaria racconta di aver lasciato per poco tempo il piccolo da solo per accompagnare alla fermata dello scuolabus il figlio maggiore e di essere tornata a casa trovando Samuele così.
 
Nonostante la donna si professi tutt’oggi innocente, tutti gli indizi portano a lei. I detective, infatti, trovano tracce di sangue e materia cerebrale sul suo pigiama e sotto le suole delle sue ciabatte. Annamaria Franzoni viene quindi inizialmente iscritta nel registro degli indagati con l’accusa di omicidio volontario, poi arrestata e infine condannata in via definitiva per omicidio a 16 anni di carcere.
 
La sentenza dichiara che ha ucciso il bambino colpendolo alla testa per 17 volte con un oggetto mai stato identificato.
In base alla ricostruzione dei fatti, Annamaria Franzoni, prima di cambiarsi per uscire ad accompagnare il figlio maggiore, infastidita dal pianto di Samuele lo aveva ucciso.
Il caso passerà alla storia come il delitto di Cogne, uno dei più sconvolgenti infanticidi della storia italiana.

Dentro la mente di Annamaria Franzoni

Il delitto di Cogne è diventato subito un caso mediatico molto discusso caratterizzato, tra le altre cose, da numerose perizie psichiatriche effettuate su Annamaria Franzoni per verificare se la donna avesse in memoria l’omicidio del figlio.
 
La maggior parte di esse confermano il racconto della Franzoni in relazione ai fatti come una sincera esposizione di quanto la donna ricorda essere accaduto quella mattina. Ciò non significa però, che sia vero.
 
Si ipotizza quindi che Annamaria Franzoni, affetta da depressione post-partum, forte stress e manie di perfezionismo abbia deciso di uccidere Samuele perché pensava che il piccolo avesse qualcosa che non andava. Nello specifico, una testa troppo grossa, proprio la parte colpita dalle coltellate, che frustrava il suo desiderio di vedere il figlio crescere in condizioni normali. Il bambino, probabilmente, quella mattina le dava anche fastidio perché non smetteva di piangere.
 
La tesi della difesa che a uccidere Samuele fosse stato un estraneo, entrato in casa negli otto minuti che Annamaria Franzoni non era in casa non convinse mai gli investigatori per mancanza totale di prove.
Da alcune intercettazioni telefoniche, inoltre, tra moglie e marito, pare che i  due avessero cercato di accordarsi per sviare le indagini, disseminando indizi che avrebbero portato altrove.
 
Alla luce di ciò, la domanda è: Annamaria Franzoni ha recitato una parte o è affetta da amnesia dissociativa?

L’ipotesi della amnesia dissociativa

Una tra le ipotesi più accreditate sul delitto di Cogne è che Annamaria Franzoni sia colpevole ma affetta da amnesia dissociativa che ha portato a rimuovere quel ricordo dalla sua memoria.
 
Una violenza può avere un impatto emotivo molto forte.
L’intreccio tra emozioni e memoria è molto delicato e un trauma psicologico non ha su tutti lo stesso effetto nella capacità di rievocare dettagli degli eventi. In questo senso, infatti, l’amnesia dissociativa è l’incapacità del soggetto di rievocare importanti informazioni autobiografiche. 
 
In caso di crimini violenti, questo tipo di amnesia presenta le seguenti caratteristiche:
  • è caratterizzata da un ricordo vago e confuso degli eventi direttamente collegati al reato;
  • emerge in contesti caratterizzati da emozioni estreme dove la vittima ha un rapporto di conoscenza intima con l’aggressore;
  • non presenta una vera e propria pianificazione del crimine.
L’aggressore, a seguito di una provocazione psicologicamente intensa reale o immaginata, entra in uno stato dissociativo. Conservando solo in parte la coscienza, inizia ad agire in base comportamenti automatici. Commette quindi il crimine in uno stato di incoscienza.
Il mancato controllo delle funzioni cognitive e dei comportamenti determina un deficit di rievocazione che impedisce il richiamo volontario delle informazioni immagazzinate.

Il delitto di Cogne è un caso di red out?

Un’altra possibilità sul delitto di Cogne è che sia un caso di red out, associato ad un caso di amnesia dissociativa.
Con questo termine si intende ad una condizione di rabbia particolarmente estrema. La maggior parte delle volte questo crimine avviene in contesti di crimine passionale e/o violenze domestiche e quindi a danno di un componente della propria famiglia.
Le caratteristiche principali del red-out sono:
  • normale capacità di rievocare gli eventi immediatamente precedenti e successivi all’aggressione;
  • scollamento delle funzioni di coscienza, memoria, controllo motorio, identità e percezione, che in un individuo sano sono funzionalmente integrate;
  • elevato livello di rabbia associato al momento della violenza perpetuata;
  • lacuna di memoria nel momento specifico in cui è avvenuto il fatto;
  • stato dissociativo in cui la coscienza è solo parzialmente conservata.
  • rapporto di conoscenza intima tra vittima e aggressore;
  • assenza di intossicazione da alcol, droghe o altre cause organiche che potrebbero scatenare l’amnesia.
Come è evidente, tutte le caratteristiche analizzate finora rappresentano in toto la personalità di Annamaria Franzoni.
 
La donna, dopo la conferma della condanna a 16 anni da parte della Corte di Cassazione nel 2016, dopo sei anni di reclusione, ha ricevuto gli arresti domiciliari. Ad oggi, è una donna libera e ha un altro figlio. Il compagno Lorenzi le è sempre rimasto accanto.

Sintesi delle sentenze

Il delitto
Il 30 gennaio 2002, il piccolo Samuele Lorenzi, di soli tre anni, viene ritrovato senza vita nella sua abitazione a Montroz, una frazione di Cogne, in Valle d’Aosta. La madre, Annamaria Franzoni, allerta i soccorsi, sostenendo di aver trovato il figlio in condizioni critiche nel suo letto. L’arma del delitto non viene mai ritrovata.

Processo di primo grado (2004)
Annamaria Franzoni viene condannata a 30 anni di reclusione dal Tribunale di Aosta, riconosciuta colpevole dell’omicidio del figlio. Il verdetto si basa su un quadro indiziario, l’assenza di prove concrete che coinvolgessero terzi e alcune incongruenze nei racconti della donna.

Appello (2007)
La Corte d’Appello di Torino riduce la pena a 16 anni, riconoscendo l’attenuante della semi-infermità mentale, accertata attraverso perizie psichiatriche che evidenziano un possibile stato di dissociazione mentale al momento del delitto.

Cassazione (2008)
La Corte di Cassazione conferma la condanna a 16 anni, ponendo fine al procedimento giudiziario. Annamaria Franzoni inizia a scontare la pena, ma ottiene la detenzione domiciliare nel 2014 per buona condotta e la conclusione di un programma riabilitativo.

Analisi criminologica

Annamaria Franzoni è stata descritta come una madre affettuosa e attenta, ma le perizie psichiatriche hanno messo in luce aspetti controversi del suo equilibrio mentale.
La sua personalità è stata definita narcisistica e con tratti ossessivo-compulsivi, con una possibile incapacità di gestire eventi stressanti o frustranti che avrebbero potuto scatenare una crisi. La dissociazione mentale indicata come attenuante potrebbe aver giocato un ruolo cruciale, suggerendo che l’omicidio sia stato compiuto in uno stato alterato di coscienza, senza piena consapevolezza delle proprie azioni.

Il contesto del delitto

Il contesto domestico è fondamentale per comprendere il caso.
La famiglia Lorenzi viveva in una casa isolata, con una routine apparentemente tranquilla, ma soggetta a dinamiche interne non sempre visibili. È possibile che lo stress legato alla gestione della casa e dei figli, unito a una predisposizione psicologica fragile, abbia contribuito a creare una situazione esplosiva.

Il delitto: dinamiche e motivazioni

Dal punto di vista criminologico, il delitto potrebbe essere interpretato come il risultato di un atto impulsivo legato a un momentaneo blackout mentale.
La modalità dell’omicidio, eseguito con un oggetto contundente, suggerisce un’esplosione di violenza non pianificata. Il fatto che l’arma non sia mai stata ritrovata rafforza l’ipotesi di un comportamento istintivo di occultamento.

Le conseguenze psicologiche e il comportamento post-delitto

Il comportamento di Annamaria Franzoni successivo al delitto, incluso il coinvolgimento attivo nei media e alcune incongruenze nelle sue dichiarazioni, potrebbe riflettere una difficoltà nel distinguere tra realtà e negazione dei fatti.
Questo atteggiamento è coerente con personalità narcisistiche o con meccanismi di difesa psicologica per proteggersi da una verità troppo dolorosa da accettare.

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