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Baby killer e criminologia infantile: i casi più famosi

Baby killer e criminologia infantile: i casi più famosi

Baby killer - i casi più famosi di criminologia infantile
  • Sara Elia
  • 31 Marzo 2025
  • Criminologia
  • 5 minuti

I casi più famosi di Baby killer (criminologia infantile)

L’incremento di manifestazioni di estrema violenza da parte di bambini e preadolescenti ha dato vita al triste fenomeno dei baby killer. Quando si parla di omicidi commessi da minori, l’opinione pubblica resta spesso scioccata e disorientata. Il concetto di Baby killer, ovvero bambini o adolescenti che si rendono responsabili di atti criminali estremi, solleva interrogativi profondi sullo sviluppo psicologico, sulle influenze ambientali e sulla responsabilità penale dei minori.

In questo articolo, all’interno della nostra sezione dedicata alla criminologia, analizzeremo alcuni dei casi più famosi di Baby killer che hanno segnato la storia giudiziaria, cercando di comprendere il contesto, le motivazioni e le implicazioni criminologiche legate a questi eventi drammatici.

Indice
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Chi sono i baby killer

Con il termine baby killer si indicano fenomeni di criminalità compiuti da minori che si rendono colpevoli di omicidio. Di certo espressione di un profondo malessere psicologico e ambientale, la violenza giovanile è ad oggi molto diffusa negli Stati Uniti e si sta diffondendo anche in Italia.
 
L’identikit di un baby killer, a livello generale, si riassume in un individuo di sesso maschile e nella fascia di età tra i 9 e i 14 anni.
La vittima designata rappresenta spesso a propria figura interna, capace di attivare il conflitto inconscio che spinge ad uccidere. In questo senso, è una persona sulla quale il bambino proietta la parte negatività del sé, da distruggere per liberarsi, e ciò accade in particolare verso i genitori.
 
L’efferatezza con cui la maggior parte della volta si provoca la morte della vittima, e l’accanimento sulla stessa, riflette il carattere feroce del delitto, mosso da impulsi incontrollabili e spontanei. Spesso, inoltre, non presenta segni di premeditazione e di pianificazione e l’arma utilizzata è quella che viene trovata a disposizione.
 
L’esecuzione del reato avviene, di solito, in uno stato mentale dissociativo, in cui il baby killer sperimenta estraneità e distanziamento da se stesso e dalla realtà esterna. Anche dopo aver confessato, appare freddo, distaccato e incapace di provare rimorso.

Baby killer: i casi più famosi della storia 

Tra i casi di baby killer passati alla storia come, tristemente, i più eclatanti è necessario citare:
 
  • Jesse Pomeroy (1859): all’età di 11 anni uccide 7 bambini dopo averli torturati con un coltello. Mandato in riformatorio, quando esce per buona condotta riprende la sua attività omicida uccidendo altri due bambini, di cui viene ritrovato con il corpo mutilato.
    Si tratta del serial killer più giovane ad essere condannato per omicidio nella storia del Massachusetts;
  • Graham Young (1947): all’età di 14 anni il giovane adolescente amante della chimica, inizia a sperimentare diversi tipi di veleni incuriosito dagli effetti. Arriva così ad uccidere tre persone, tra cui la sua matrigna.
    Arrestato nel 1962 e rilasciato 9 anni dopo, l’uomo continua i suoi esperimenti arrivando ad avvelenare altre circa settanta persone senza però ucciderle;
  • Cayetano Santos (1906): il ragazzo argentino a 11 anni uccide una bambina di 3 anni seppellendola viva dopo averla rapita. Tenta anche di uccidere due bambini di 2 anni, uno salvato dall’essere annegato in piscina, l’altro dopo che il baby killer ne aveva bruciato le palpebre. Inviato in riformatorio, quando viene rilasciato inizia a compiere omicidi senza sosta mietendo altre tre vittime e tentandone altri due. Dopo questi crimini, viene imprigionato fino alla morte.

I casi più recenti

Tra i casi più recenti di baby killer troviamo:
 
  • Amarjeet Sada (1998): il giovane indiano è ritenuto il più giovane serial killer al mondo: a soli 8 anni aveva già massacrato tre bambini, tra cui la sorella di 8 mesi e la cugina di sei. Reo confesso dell’ultima vittima, una neonata del suo quartiere, presa, colpita a mattonate e strangolata a morte. Dal 2016 è latitante e non si sa dove si trovi attualmente;
  • Shin’ichiro Azuma (1997) a soli 15 anni, il ragazzo aggredisce con un martello due compagne di elementari, ferendone gravemente una. Successivamente colpisce alla testa, sempre con un martello, una bambina di 10 anni, che entra in coma e muore dopo pochi giorni. In fuga, s’imbatte e ferisce al ventre un’altra bambina di 9 anni per poi strangolarne uno di 11 e farlo ritrovare sul muro d’ingresso della scuola sfigurato. Lo stesso anno viene arrestato;
  • Alyssia Bustamante (2004): all’età di 15 anni, dopo aver pensato di uccidere i suoi due fratelli più piccoli, si reca in un bosco per preparare due fosse per i cadaveri. Lì incontra casualmente una bambina di 9 anni, che Alyssia picchia, strangola e, alla fine, taglia la gola. Una volta catturata dalla polizia dichiara di averlo fatto per sapere che cosa si provasse.

Analisi del fenomeno

Apprendere che i baby killer riescono, con apparente freddezza, ad uccidere porta senza dubbio ad interrogarsi su come essi percepiscano concetti quali vita e morte.
 
Le loro nozioni, infatti, non sono equiparabili a quelle di un adulto. In questo senso, infatti, la morte viene concepita in modo non realistico alla stregua di un evento temporaneo. Di certo, idea alimentata dai mezzi di comunicazione di massa che la trasforma in un gioco da videogames, una finzione da film.
Incapaci di distinguere tra realtà e fantasia, i bambini possono venire disorientati da queste informazioni fino al punto di convincersi che la morte sia un evento fittizio dal quale è possibile fare ritorno. 
 
Inoltre, esistono degli importanti fattori individuali che possono distorcere l’esame di realtà e impedire di valutare realisticamente le conseguenze delle proprie azioni. In particolare, ciò vale per chi cresce in un ambiente familiare disfunzionale, violento o abusante.
Nella maggior parte dei casi i baby-killers vivono infatti un’infanzia e un’adolescenza contraddistinta da trascuratezza o maltrattamenti fisici/psicologici. In quest’ottica, il delitto viene compiuto verso la persona, madre o padre, da cui sono esasperati e riconoscono come unica causa delle proprie sofferenze.
 
Come abbiamo analizzato insieme, la condotta omicida dei baby killers è la forma più eclatante in cui si estrinseca il disagio giovanile.
 
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