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Il concetto di affordance in criminologia

Il concetto di affordance in criminologia

affordance - concetto in criminologia
  • Sara Elia
  • 1 Settembre 2024
  • Criminologia
  • 4 minuti
  • 6 Settembre 2024

Le affordance in criminologia

Il concetto di affordance spiega perché alcuni oggetti, progettati per altri scopi, potrebbero invitare all’uso criminoso.

Analizziamo insieme il significato del termine e quali applicazioni sono le più diffuse!

Indice
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Che cos’è l’affordance 

Il termine affordance venne introdotto per la prima volta nel 1979 dallo psicologo James Gibson nell’opera Un approccio ecologico alla percezione visiva. Esso fa riferimento alla qualità di un oggetto o di un ambiente di suggerire a un soggetto le azioni per interagire con esso. Definisce quindi la qualità fisica di un oggetto che suggerisce l’insieme delle azioni che con esso si possono compiere.
Ad esempio: maniglie da aprire, pulsanti da schiacciare, pistole per sparare.
 
Al centro del concetto con il quale questi oggetti sono stati costruiti c’è un lavoro di riflessione sulla capacità di un artefatto di assumere determinate funzioni piuttosto che altre. Infatti, particolari caratteristiche, possano attivare automaticamente azioni senza richiedere alcuna interpretazione.
 
L’approccio di Gibson va oltre la semplice percezione degli oggetti come entità statiche. Gli oggetti, infatti, vengono percepiti anche in funzione delle azioni che ciascuno di noi può voler svolgere con essi. Ne consegue l’evidenza che le persone non percepiscono tutte le affordance in modo uguale ma solo quelle che sono loro utili. In quest’ottica, una bottiglia di vetro può, ad esempio, sia servire per bere sia come arma di delitto se frantumata in pezzi più piccoli. Allo stesso modo, una pistola finta può essere un fermacarte.
 

Il significato di affordance in criminologia

Come abbiamo visto finora, l’affordance può quindi essere definita come un invito all’utilizzo. Questa qualità non appartiene però all’oggetto di per sé né al soggetto che lo utilizza in quanto tale. Essa nasce infatti dalla relazione dinamica tra i due e dipende dal contesto e dalle intenzioni.
 
In altre parole, la chiarezza dell’oggetto nel suggerire come debba essere impiegato, si sviluppa tramite l’interazione continua tra l’individuo e l’ambiente circostante. Il concetto di affordance offre quindi la possibilità di comprendere ed indagare in modo più ampio su come la mente umana interpreta il mondo esterno e interagisce con esso.
 
Permette infatti il superamento della tradizionale separazione tra percezione e azione, tipica della psicologia cognitiva, riunendole in un unico atto. La percezione, in quest’ottica, si svolge in contemporanea all’elaborazione e all’azione. Non si configura quindi come una raccolta di informazioni da elaborare e poi tradurre in azione in un secondo momento.
 
Un investigatore scientifico che analizza la scena del crimine dovrebbe essere in grado di individuare le affordance degli oggetti presenti. Infatti, identificare il tipo di affordance degli oggetti utilizzati per compiere il delitto aiuta a riconoscere gli stimoli percettivi e cognitivi che hanno inciso sul comportamento e sulle decisioni dell’autore del crimine.

Gli studi di Donald Norman

Il concetto di affordance ha un impatto significativo non solo nella criminologia ma anche in altri ambiti. Uno dei settori che più ne hanno giovato è il design. 
Donald Norman, psicologo e ingegnere statunitense, si è dedicato allo studio dei processi cognitivi in relazione all’ergonomia e al design.
 
Egli ha infatti approfondito l’applicazione dell’affordance nel rapporto individuo-macchina favorendo un cambio di paradigma. Fino ad allora, infatti, si indagava unicamente il comportamento umano rispetto alle tecnologie. Ad oggi, invece, l’approccio tenta di spiegare il coinvolgimento attivo nel processo di progettazione da entrambe le parti.
Il focus, prima incentrato sulla funzione di un oggetto, è ora sull’usabilità, ovvero la facilità di utilizzo di un oggetto da parte dell’utente. 
 
In quest’ottica, Norman suddivide le affordance in due categorie chiave: reali e percepite. Le prime si riferiscono alle azioni rese possibili da un oggetto, basate su caratteristiche fisiche e modalità con cui è progettato. Le seconde, invece, si riferiscono alle azioni che le persone pensano di poter compiere tramite l’utilizzo di quel determinato oggetto.
 
In questo modo viene data importanza non solo alle caratteristiche fisiche degli oggetti ma anche a come vengono interpretati. Il design dovrebbe infatti minimizzare le discrepanze tra i due aspetti, garantendo un’interpretazione corretta di tutte le azioni possibili di un oggetto.

Altre applicazioni

Ad oggi, il concetto di affordance trova applicazione anche nel mondo digitale.
 
Nello specifico in:
  • design: elemento chiave per garantire una user experience agile e intuitiva in interfacce digitali e applicazioni;
  • siti web: le affordance cercano di guidare gli utenti in modo semplice ed immediato verso le azioni desiderate. Ad esempio, nei link da cliccare e funzionalità delle app;
  • social media: i tasti “mi piace” o “condividi” invitano a cliccare per compiere una determinata azione;
  • web design: parametro cruciale nella creazione di ecosistemi digitali intuitivi e facili da navigare.
Nel mondo virtuale le affordance contribuiscono al successo o meno di siti web, piattaforme ed applicazioni. Alcuni simboli, infatti, consentono agli utenti di interagire e comunicare online in modo semplice e snello. Gli elementi visivi e l’uso di colori distinti, stili di testo ed effetti forniscono indicazioni precise sull’interattività degli elementi. Ed è proprio grazie a queste qualità che gli utenti possono interagire in modo efficace con contenuti e funzionalità.
 
Come abbiamo analizzato insieme le affordance sono importanti in molti campi dell’esperienza umana. Per svilupparle in modo efficace si consiglia di
utilizzare testi o metafore che spieghino o indichino l’azione desiderata e mantenere un modello concettuale coerente nel rispetto delle convenzioni.
 
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Sara Elia
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