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OneCoin e lo schema Ponzi della cryptoqueen Ruja Ignatova

OneCoin e lo schema Ponzi della cryptoqueen Ruja Ignatova

OneCoin - lo schema Ponzi della cryptoqueen Ruja Ignatova
  • Sara Elia
  • 10 Novembre 2025
  • Criminologia
  • 8 minuti

OneCoin e lo schema Ponzi della cryptoqueen Ruja Ignatova

La vicenda di OneCoin e della sua fondatrice Ruja Ignatova, soprannominata la Cryptoqueen, è una delle truffe finanziarie del XXI secolo.
Dietro la promessa di una rivoluzione nel mondo delle criptovalute, si celava in realtà un sofisticato schema Ponzi che ha ingannato milioni di investitori in oltre 175 Paesi, generando un danno economico stimato in più di 4 miliardi di dollari.

Fondata nel 2014, OneCoin si presentava come l’alternativa a Bitcoin, una moneta digitale “sicura e accessibile a tutti”, destinata — secondo la retorica della Ignatova — a democratizzare la finanza globale. Ma in breve tempo, l’impero della Cryptoqueen ha iniziato a mostrare le sue crepe: nessuna blockchain reale, nessuna trasparenza nelle transazioni e un sistema costruito unicamente per alimentarsi con nuovi investimenti, fino al crollo inevitabile.

Ruja Ignatova, elegante e carismatica, aveva saputo costruire un’immagine di donna visionaria, capace di conquistare platee internazionali e convincere persino esperti del settore. Tuttavia, nel 2017, la “regina delle criptovalute” scomparve nel nulla, lasciando dietro di sé un buco finanziario immenso, migliaia di vittime e un mistero ancora oggi irrisolto.

In questo articolo analizzeremo nel dettaglio come funzionava lo schema OneCoin, chi era davvero Ruja Ignatova e come è riuscita a manipolare la fiducia di milioni di persone in un mondo, quello delle crypto, dove la linea tra innovazione e frode è sempre più sottile.

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Chi è Ruja Ignatova

Ruja Ignatova nasce a Sofia, in Bulgaria, nel 1980, per poi trasferirsi all’età di dieci anni con la famiglia in Germania, a Schramberg Baden-Württemberg. Qui completa gli studi e si laurea in Economia all’Università di Costanza, mostrando fin da subito intelligenza e determinazione, qualità che la rendono capace di affascinare e convincere chiunque incontri sul suo cammino.
 
La carriera lavorativa di Ruja inizia in ambito manageriale e finanziario presso la società di consulenza McKinsey & Company. Nel 2012, insieme al padre Plamen, acquisisce un complesso metallurgico in Baviera, il quale dichiara bancarotta in circostanze sospette. 
La magistratura tedesca la condanna a 14 mesi con la condizionale per frode, mentre l’amministratore fiduciario accusa la famiglia di aver sottratto circa un milione di euro. 
 
Nel 2013 la donna si approccia per la prima volta al settore emergente delle criptovalute con il progetto BigCoin, creato insieme allo svedese Sebastian Greenwood. Anche questa iniziativa fallisce, ma non scoraggia la sua visione.
Chi la conosce la descrive come carismatica e in grado di presentare le proprie idee con arguzia e persuasione, qualità che, unite a promesse di alti rendimenti e di rivoluzione tecnologica, la rendono magnetica agli occhi degli investitori. Ed è proprio questa capacità di attrazione che le permette di raccogliere milioni di dollari e di lanciare OneCoin.

La nascita di OneCoin

Nel 2014, sempre con Greenwood, Ruja Ignatova lancia OneCoin, una criptovaluta destinata a rivoluzionare il mondo della finanza digitale che promette un’alternativa semplice e accessibile a Bitcoin.
 
Grazie al progetto la donna ottiene subito riconoscimenti, e comincia a costruire un impero di eventi spettacolari, presentazioni e campagne promozionali in tutto il mondo. In tutte queste occasioni, ogni tipo di critica veniva ignorato ed etichettato come “attacchi di haters”.
Dietro l’apparente successo, però, la realtà è ben diversa. OneCoin, infatti, non possiede una blockchain pubblica funzionante, componente essenziale per una criptovaluta legittima, e i pacchetti di membership venduti agli investitori diventano strumenti di un classico schema Ponzi. 
 
In breve tempo, la truffa si diffonde in 175 paesi, coinvolgendo milioni di persone. A sollevare dubbi sono, tra il 2015 e il 2016, la Commissione bulgara di supervisione finanziaria, la FCA britannica e l’ Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato in Italia.
Tuttavia, solo nel 2017 il castello comincia a crollare. La giustizia inglese e statunitense intensifica le indagini e, ad ottobre, Ignatova scompare misteriosamente prima di un evento a Lisbona.
 
Il fratello Konstantin prende temporaneamente il timone, ma viene arrestato il 6 marzo 2019 a Los Angeles, mentre Greenwood era già stato fermato nel 2018. Konstantin si dichiara colpevole di riciclaggio e frode, testimoniando anche contro la sorella.

Il mistero della sparizione di Ruja Ignatova 

Ancora oggi, la scomparsa di Ruja Ignatova resta un mistero che alimenta teorie di ogni tipo, dalla fuga volontaria a scenari più estremi legati alla criminalità organizzata.
 
Secondo un’inchiesta della BBC, Ignatova avrebbe avuto stretti legami con figure di alto profilo della criminalità bulgara, in particolare con Hristoforos Nikos Amanatidis, soprannominato “Taki”, noto per essere coinvolto in operazioni di riciclaggio internazionale di denaro sporco.
Alcuni rapporti suggeriscono inoltre che il criminale fosse responsabile della sicurezza personale della donna e ne facilitasse le operazioni finanziarie illegali attraverso la rete OneCoin.
Secondo gli informatori, Taki avrebbe ordinato l’assassinio di Ruja alla fine del 2018 e il suo corpo sarebbe stato smembrato e gettato nel Mar Ionio.
 
Altre fonti, invece, indicano che la donna potrebbe essersi rifugiata a Dubai, dove vivrebbe sotto copertura. Ipotesi rafforzata dalla difficoltà degli investigatori di rintracciare movimenti finanziari o personali della donna dopo la sua scomparsa, nonostante la collaborazione internazionale delle autorità.
 
Il Dipartimento di Giustizia statunitense la considera imputata in procedimenti penali che potrebbero condurre a condanne fino a 90 anni, qualora fosse catturata e processata.
Ad ogni modo, la scomparsa di Ignatova ha generato un forte impatto mediatico. Documentari, podcast e inchieste giornalistiche hanno infatti portato all’attenzione globale le connessioni tra il mondo delle criptovalute e quello della criminalità organizzata.

Come Ruja Ignatova ha manipolato la fiducia di milioni di persone

Il successo iniziale di OneCoin non si è basato su un’infrastruttura tecnologica solida — che, come si è scoperto, non è mai esistita realmente — ma su una strategia di persuasione scientificamente studiata.
Ruja Ignatova ha mescolato intelligenza accademica, carisma e psicologia del marketing per creare una narrazione irresistibile: quella di una donna visionaria che stava cambiando il mondo della finanza.

1. La costruzione del personaggio: la “Cryptoqueen”

Prima di tutto, Ignatova ha costruito attorno a sé un mito di credibilità e autorità. Si presentava come dottorata a Oxford, esperta di finanza e blockchain (titoli di studio mai del tutto verificati), e indossava sempre abiti eleganti, gioielli vistosi e un atteggiamento da leader globale.
Ogni apparizione pubblica era curata nei minimi dettagli: dai palchi illuminati come quelli dei concerti pop, alle conferenze internazionali in cui prometteva “la più grande rivoluzione economica del secolo”.

Questo processo di self-branding perfetto le ha permesso di apparire come un simbolo di successo ed empowerment femminile in un settore dominato da uomini. Il pubblico vedeva in lei non solo un’imprenditrice, ma una guida carismatica, una persona in grado di offrire speranza e ricchezza a chi voleva “salire a bordo” del cambiamento.

2. OneCoin: l’illusione della comunità e del movimento globale

Ignatova non ha venduto semplicemente la criptovaluta OneCoin, ma un sogno collettivo.
Definì gli investitori “OneLife believers”, un gruppo di pionieri che, secondo la sua narrazione, stavano costruendo “un nuovo ordine finanziario più giusto e inclusivo”.

Questo linguaggio messianico ha creato un forte senso di appartenenza, spingendo i membri a sentirsi parte di una missione, non di un investimento speculativo. Nei grandi eventi OneCoin — veri e propri show con musica, luci e bandiere — si alimentava una dinamica da culto, con applausi, slogan motivazionali e testimonianze di “successo” che rafforzavano l’illusione di una comunità invincibile.

3. L’uso strategico del linguaggio e della scarsità

Come in ogni schema Ponzi, Ruja Ignatova fece leva su due potenti meccanismi psicologici:

  • la paura di restare esclusi (FOMO)
  • la promessa di guadagni rapidi.

Ogni discorso era costruito con un linguaggio tecnico ma accessibile, mescolando concetti di blockchain, decentralizzazione e libertà finanziaria.
Questo serviva a dare l’impressione che OneCoin fosse un progetto complesso e innovativo, ma comunque alla portata di tutti.

Inoltre, la cryptoqueen Ignatova utilizzava spesso la strategia della scarsità: i pacchetti di investimento OneCoin venivano presentati come “offerte limitate nel tempo”, creando un senso di urgenza che spingeva le persone a comprare senza riflettere.

4. Le dinamiche del network marketing e la leva sociale

Un altro elemento chiave del sistema era la rete piramidale di vendite: gli investitori venivano incoraggiati a reclutare nuovi membri in cambio di commissioni, proprio come nei classici schemi Ponzi.
Ogni nuovo ingresso serviva a finanziare i guadagni promessi ai precedenti, alimentando una spirale di illusione economica che durò fino al collasso del 2017.

Ignatova ha sfruttato in modo sapiente la leva sociale: quando amici e parenti parlano di un investimento redditizio, la fiducia si moltiplica. Questo meccanismo ha permesso a OneCoin di diffondersi rapidamente in tutto il mondo, soprattutto nei Paesi emergenti, dove la promessa di “liberarsi dal sistema bancario” trovava terreno fertile.

Come funzionava lo schema Ponzi di OneCoin

  1. Promesse di rendimenti straordinari
    OneCoin veniva presentata come una criptovaluta rivoluzionaria, destinata a dominare il mercato, “il Bitcoin-killer”. Ai potenziali investitori veniva detto che acquistando “pacchetti educativi” (con accesso a token OneCoin) si sarebbe potuto guadagnare enormemente.

  2. Vendita di pacchetti educativi piuttosto che vera valuta
    In realtà, la “criptovaluta” OneCoin non era basata su una blockchain pubblica né poteva essere scambiata liberamente su mercati esterni. Il modello prevedeva l’acquisto di pacchetti formativi costosi (da centinaia a centinaia di migliaia di euro) che promettevano token “minabili”, ma senza che vi fosse un’effettiva attività di mining o circolazione reale.
  3. Sistema multilivello (MLM) – reclutamento e commissioni
    Il design faceva leva sull’acquisto e sul reclutamento: gli investitori ricevevano forti incentivi a portare nuovi membri e questo alimentava l’afflusso di nuovi fondi. In questo modo, i rendimenti promessi ai “vecchi” partecipanti erano in gran parte pagati con i soldi dei nuovi aderenti — caratteristica tipica di uno schema Ponzi.
  4. Mancanza di liquidità e moneta reale
    Quando si osservava la possibilità di convertire i token in valuta reale o di ritirarli, la piattaforma presentava gravi limitazioni, come forti restrizioni, ritardi, chiusure temporanee del mercato interno. In vari Paesi le autorità hanno avvertito che OneCoin era priva delle caratteristiche di una vera criptovaluta e riconosciuta come “scheme piramidale”.
  5. Dipendenza costante da nuove entrate
    Come tutti gli schemi Ponzi, la sostenibilità del modello di OneCoin dipendeva dal continuo reclutamento di nuovi investitori. Una volta che le entrate si riducono o le richieste di prelievo aumentano, lo schema collassa.

OneCoin: conseguenze legali 

A livello legale, sono state subite delle conseguenze da:
 
  • Greenwood: arrestato nel 2018 e condannato per frode;
  • Konstantin Ignatov: arrestato nel 2019 e dichiaratosi colpevole di riciclaggio. Ad oggi, rischia una condanna fino a 90 anni di carcere;
  • Mark Scott e David Pike e altre personalità coinvolte nel marketing e nel reclutamento: accusate di riciclaggio, con cifre che arrivano a centinaia di milioni di dollari;
  • decine di persone legate alla promozione e al riciclaggio dei fondi: arrestate e condannate in diversi paesi tra cui Singapore e Stati Uniti;
Infine, come abbiamo visto la cryptoqueen Ruja è invece latitante. Secondo le indagini, la truffa ha sottratto circa 4,4 miliardi di dollari agli investitori, di cui sono stati recuperati circa 267 milioni di dollari.
 
Le vittime, disperse in tutto il mondo, si sono organizzate in gruppi di supporto per ottenere giustizia e sensibilizzare il pubblico sui rischi delle criptovalute fraudolente.  Mentre le autorità continuano le indagini, tentano di recuperare fondi e denunciare i responsabili. 
Tuttavia, la complessità internazionale del caso e la latitanza di Ruja Ignatova rendono il recupero dei soldi un processo lungo e incerto.
 
Come abbiamo analzzato insieme, il caso OneCoin ha evidenziato le vulnerabilità del mercato crypto e la necessità di regolamentazioni più rigorose per proteggere i risparmiatori e prevenire nuove truffe.
 
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