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Il profilo di Jeffrey Dahmer, il caso del mostro di Milwaukee

Il profilo di Jeffrey Dahmer, il caso del mostro di Milwaukee

Jeffrey Dahmer - il profilo del mostro di Milwaukee
  • Sara Elia
  • 10 Maggio 2025
  • Criminologia
  • 5 minuti

Il caso del mostro di Milwaukee

Jeffrey Dahmer, anche noto come “Il Cannibale di Milwaukee” è stato un serial killer statunitense passato tristemente alla storia per aver compiuto almeno diciassette omicidi tra il 1978 e il 1991. Dall’infanzia segnata da disturbi comportamentali all’evoluzione verso atti di violenza estrema, ricostruiremo il percorso che ha portato Jeffrey Dahmer a diventare uno dei serial killer più spietati della storia.

Ma chi era realmente il cosiddetto “mostro di Milwaukee”?
In questo articolo analizziamo il profilo criminologico di Dahmer, esplorando la sua infanzia, i fattori di rischio, le dinamiche psicologiche e le modalità operative dei suoi crimini. Un’analisi che non cerca solo di raccontare i fatti, ma di comprendere le motivazioni più profonde dietro azioni tanto disturbanti.

Indice
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Chi è Jeffery Dahmer: l’infanzia e l’adolescenza

Jeffrey Dahmer, uno dei criminali più noti e controversi della storia criminale moderna, nasce il 21 maggio 1960 a Milwaukee, nello Stato del Wisconsin.
Il padre lavora come chimico ricercatore ed è un uomo razionale mentre la madre è una casalinga con frequenti sbalzi d’umore e crisi nervose che, anche durante la gravidanza, abusa di ansiolitici.
 
Durante la sua infanzia, Jeffrey è un bambino tranquillo e obbediente ma anaffettivo, solitario, introverso e, proprio per questo, fatica ad integrarsi.
L’ambiente familiare in cui vive non abusante, ma privo di sana comunicazione e comprensione emotiva.
Da adolescente diventa sempre più passivo ed apatico, si rende conto di essere omosessuale pur non confidandosi con nessuno ed inizia a bere molto. Il suo unico hobby è quello di raccogliere carcasse di animali e scarnificarle, per poi conservare le ossa per osservare come sono fatte.
 
Dopo il trasloco in Ohio, i genitori divorziano, aggravando le condizioni del giovane. Nel 1978, quando ha appena 18 anni, miete la sua prima vittima.
Si tratta di Steven Hicks, un 19enne a cui Dahmer offre un passaggio in macchina. Dopo il rifiuto di passare del tempo con lui, lo stordisce e strangola per poi smembrare il corpo e buttarli da un promontorio dietro casa. 
 
Da qui incomincia la discesa verso il baratro.

Gli omicidi di Jeffery Dahmer

Negli anni subito successivi al primo omicidio, la vita di Jeffery Dahmer procede senza avvenimenti eclatanti. Nel 1982 viene arrestato un paio di volte per atti osceni, ubriachezza molesta e per aver abusato di un ragazzo di 13 anni narcotizzandolo con benzodiazepine.
 
Dal 1987 inizia purtroppo la lunga scia di omicidi che sconvolgerà un’intera nazione. Jeffrey vive dalla nonna Kate ed è nel seminterrato della sua abitazione che avvengono la maggior parte di abusi sessuali e delitti.
Tra i più noti Steven Tuomi nel 1987, James Doxtator, Richard Guerrero nel 1988 e Anthony Sears. 
 
Il suo modus operandi è sempre il medesimo: gli uomini, perlopiù giovani e afroamericani, vengono adescati nelle saune o nei locali gay. Una volta da soli, Dahmer offre loro bevande drogate per stordirli e, successivamente compiere atti quali:
  • strangolamenti;
  • percosse;
  • accoltellamenti;
  • necrofilia;
  • mutilazioni;
  • violenze;
  • smembramento di cadaveri;
  • atti di cannibalismo.
Successivamente, mentre i problemi di alcolismo sono sempre più evidenti, Jeffrey Dahmer si trasferisce a Milwaukee. Ed è proprio in questa casa che perde ogni remora.
Tra il 1990 e il 1991 uccide almeno dodici uomini, sempre molto giovani, di solito attirandoli offrendo soldi per il sesso o per delle foto.
Inoltre, inizia a conservare teste e altre parti del corpo delle vittime in contenitori di plastica nel congelatore.

L’inizio della fine: la cattura e la confessione

I delitti si susseguono fino al 19 luglio 1991.
Occorre precisare che, fino ad allora, non era mai stata ipotizzata la presenza di un serial killer in città in quanto le vittime erano quasi tutte di origine afroamericana e provenienti da ambienti problematici, e quindi non oggetto di interesse dalle Forze di Polizia.
 
L’incubo termina la notte in cui Tracy Edwards, un giovane afroamericano riesce a sopravvivere all’aggressione e, nudo, ammanettato e terrorizzato, chiede aiuto ad alcuni agenti.
Gli uomini entrano in casa di Jeffrey Dahmer e. oltre a sentire un forte fetore di carne putrefatta, scoprono polaroid che ritraggono cadaveri e trovano resti umani ovunque: in barili pieni di acido, in frigorifero, nelle pentole, in bagno.
 
Jeffrey viene arrestato e confessa i suoi delitti, senza mostrare alcuna emozione. Il processo che si tiene tra il 30 gennaio e il 14 febbraio 1992 condanna l’uomo a quindici ergastoli consecutivi, senza riconoscergli l’infermità mentale.
Dahmer inizia ad acquisire sempre più fama all’esterno, diventando un mito: riceve lettere, regali, messaggi di stima da suprematisti bianchi ed ammiratori. Ma dentro al carcere, la situzione è completamente differente.
Durante la detenzione subisce infatti diverse aggressioni, tra cui un tentato omicidio, fino a quando il 28 novembre 1994 viene ucciso da un altro detenuto, Christopher J. Scarver.

Profilo psicologico: diagnosi e controversie

Durante il processo, Dahmer fu sottoposto a numerose valutazioni psichiatriche.
Gli esperti della difesa diagnosticarono diverse condizioni, tra cui disturbo borderline di personalità, disturbo schizotipico di personalità, dipendenza da alcol, necrofilia e un disturbo psicotico.
Il dottor Carl Wahlstrom, ad esempio, evidenziò la presenza di necrofilia e tratti psicotici.
 
Tuttavia, gli esperti dell’accusa, come il dottor Park Dietz, sostennero che Dahmer fosse legalmente sano, capace di comprendere la natura criminale delle sue azioni e di controllare i suoi impulsi. Dietz osservò che Dahmer pianificava meticolosamente i suoi crimini e spesso si intossicava per superare l’inibizione morale, indicando una consapevolezza del male commesso.
 
Altri esperti, come il dottor George Palermo, ipotizzarono che Dahmer fosse spinto da un’aggressione repressa e da un odio verso la propria omosessualità, portandolo a uccidere ciò che odiava in sé stesso.
ll profiler dell’FBI Robert Ressler lo definì un “mischtäter“, un ibrido tra il serial killer organizzato (pianificazione, occultamento dei corpi) e quello disorganizzato (impulsività, rituali bizzarri).

Dentro la mente criminale

Jeffrey Dahmer è stato sottoposto a diverse valutazioni psichiatriche durante il suo processo legale.
Gli psichiatri hanno stabilito che soffriva di disturbi della personalità, inclusi quello antisociale e borderline di personalità e disturbi di matrice narcisistica e schizofrenica.
 
Inoltre, nonostante non avesse subito abusi infantili come capita invece a molti serial killer, egli portava con sé i segni di un trauma abbandonico.
I suoi problemi, infatti, erano sempre stati ignorati o sottovalutati portando a far crescere dentro di lui un mondo interiore sempre mostruoso e indecifrabile.
In aggiunta, in comune con il padre che aveva un’affettività limitata, Jeffrey possedeva una scarsa capacità di riconoscere e validare le emozioni altrui che era diventata vera e propria indifferenza per il dolore degli altri.
Per il resto, anche i problemi mentali della mamma avevano probabilmente contribuito nella delineazione della sua personalità.
Un’ultima caratteristica preponderante in Dahmer, infine, era quella di giustificare i delitti con la necessità di compagnia. Il suo obiettivo, infatti, era di non restare solo o venire di nuovo abbandonato.
 
Nonostante le diagnosi di disturbi mentali, fu ritenuto legalmente sano e responsabile delle sue azioni. La sua storia evidenzia la complessità nel distinguere tra malattia mentale e consapevolezza criminale, sottolineando l’importanza di un’analisi approfondita dei fattori psicologici e sociali che possono portare a comportamenti estremi.
Al caso Dahmer sono stati dedicati diversi libri, documentari, film e serie tv. È entrato nella cultura popolare americana scatenando ampi dibattiti su diversi fronti, in particolare nei movimenti per i diritti delle persone omosessuali e nere.
 
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