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Milena Quaglini, da vittima a carnefice per difesa

Milena Quaglini, da vittima a carnefice per difesa

Milena Quaglini - storia della serial killer
  • Sara Elia
  • 9 Dicembre 2024
  • Criminologia
  • 6 minuti
  • 11 Dicembre 2024

Milena Quaglini, il caso della casalinga che divenne serial killer per difesa

Milena Quaglini è un nome che suscita ancora oggi interesse e riflessione nel panorama criminologico italiano. Casalinga dall’apparenza ordinaria, la sua storia cela un profondo intreccio di dolore, abusi e disperazione, fino a trasformarsi in una spirale di violenza che la portò a uccidere per autodifesa tra il 1995 e il 1999.
Quaglini, vittima di una vita segnata da soprusi e traumi, si trovò al centro di un caso giudiziario che sollevò interrogativi sulle dinamiche tra vittima e carnefice, ponendo questioni etiche e psicologiche ancora aperte.

In questo articolo, esploreremo la vicenda di Milena Quaglini, ricostruendo i fatti che la portarono a essere definita “l’Angelo sterminatore” e “serial killer per difesa“. Attraverso l’analisi del suo profilo criminologico, cercheremo di comprendere il confine tra legittima difesa e vendetta, esaminando come le esperienze personali possano influire su comportamenti estremi e apparentemente imprevedibili. Una storia drammatica, che continua a interrogare esperti e opinione pubblica sul ruolo delle circostanze e del contesto nella trasformazione di una vittima in carnefice.

Indice
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Chi era Milena Quaglini

Definita “la casalinga serial killer” e “la vedova nera del pavese”, Milena Quaglini nasce nel 1857 a Mezzanino, in provincia di Pavia. La sua infanzia è costellata da violenze e soprusi da parte del padre alcolizzato, che picchiava regolarmente sia la moglie che le figlie.
Per questo motivo, una volta compiuti i 18 anni, scappa di casa e si trasferisce nel comese. dove si arrabatta con lavori saltuari. Qui conosce il suo primo marito, un brav’uomo con il quale ha un figlio, che però si ammala e muore di diabete qualche anno dopo.
La donna, rimasta sola, scivola in una spirale depressiva che sfocia nella dipendenza da alcol.
 
Milena si trasferisce poi a Travacò Siccomario, dove conosce Mario Fogli, purtroppo simile a suo padre: violento, geloso, ossessivo e paranoico.
Nonostante le prevaricazioni, la donna rimane legata a Fogli con il quale ebbe due bambine e, per sopravvivere si rifugia nella pittura, nell’alcol e negli antidepressivi.
La situazione degenera quando la loro casa viene pignorata per i pesanti debiti.
 
Milena decide di nuovo andarsene. Si trasferisce con i figli in Veneto, dove trova lavoro come portinaia e, per arrotondare, come badante presso una persona di 83 anni, di nome Giusto.  Siamo così arrivati al 1995.

I tre delitti

Milena Quaglini non riesce a far quadrare i conti e l’anziano che cura gliene presta parecchi fino ad arrivare a ben 4 milioni di lire, salvo poi chiederglieli indietro o un pagamento in natura.
 
Nel settembre 1995 tra i due scoppia una violenta colluttazione a causa di un tentativo di stupro. La donna lo uccide con una lampada e, dopo sua stessa confessione, viene condannata a venti mesi di carcere.
 
Dopo essere tornata libera, Milena torna a Broni dal marito Mario, ma le cose riprendono da dove erano rimaste: alcool, botte e violenze.
La situazione precipita il 2 agosto 1998, quando lei decide di farlo fuori nel sonno, strozzandolo con la corda della tapparella ed autodenunciandosi poi ai carabinieri.
In sede processuale le viene riconosciuta la semi infermità mentale e i giudici le accordano una condanna di sei anni e otto mesi arresti domiciliari da scontare in una comunità di recupero. Di fatto, dopo nemmeno un anno Milena è di nuovo libera.
 
In cerca di una nuova occupazione, trova ospitalità da Angelo Porrello in cambio dello svolgimento di lavori domestici. L’uomo, reduce da una condanna a sei anni di reclusione per aver violentato le figlie, abusa anche della donna. Il 15 ottobre del 1999 Angelo Porrello scompare e il suo corpo venne ritrovato giorni dopo in un giardino vicino a casa.
Milena Quaglini confessa anche questo omicidio.

La perizia psichiatrica

“Non sopporto chi mi usa violenza, così punisco i maschi violenti uccidendoli”.
Milena Quaglini, spiega così agli investigatori il motivo che l’ha spinta a uccidere. In base alla sua ricostruzione, gli omicidi sono stati una reazione al male subito, stanca di subire violenza che le ricordavano suo padre.
 
La donna viene condannata e spostata nel carcere di Vigevotto. Qui viene sottoposta a numerose perizie psichiatriche che, nel tempo, rivelano
  • prima perizia: al momento dei delitti la donna era incapace di intendere e di volere;
  • seconda perizia: vizio parziale di mente;
  • terza perizia: in grado di intendere e di volere al momento del delitto e azione con lucidità anche nei momenti successivi.
Milena sembra trovare una sua serenità e un lento recupero seguita da specialisti: dipinge, passa il tempo con piccoli lavoretti. Ma purtroppo, la depressione e i demoni interiori non smettono di tormentarla.
La notte del 16 ottobre 2004, poco tempo prima del processo per l’ultimo omicidio previsto il 24 dello stesso mese, la donna taglia a strisce le lenzuola del letto della sua cella sfruttando un gancio dell’armadietto. Dopo aver scritto un biglietto di scuse per i suoi tre figli, Milena Quaglini si impicca.
 
Il troppo male subito l’ha portata ad uccidere tre volte e poi ad uccidersi.

Milena Quaglini: la vedova nera vendicatrice

La storia di Milena Quaglini rappresenta la tipica narrazione delle donne che vengono vittimizzate e decidono di vendicarsi, invece di continuare a subire. In ciascun caso, gli omicidi sono avvenuti in contesti di difesa da aggressioni sessuali o fisiche.
 
Ai tempi, venne definita dai mass media “la vedova nera vendicatrice”.
La donna può di certo essere definita tale, anche se le sue vittime non furono tutti mariti o amanti. Questo perché, secondo la tipica classificazione dei serial killer, la vedova nera è un’assassina che uccide persone a cui è sentimentalmente legata e con i quali sussiste una forte conoscenza pregressa.
 
Nello specifico, Milena utilizza un modus operandi che pur evolvendosi nel tempo mantiene una continuità, in quanto è il modo in cui “si trova bene a uccidere”. Analizziamo infatti i tre omicidi:
  • Giusto Della Pozza viene colpito alla testa con una lampada senza nessuna premeditazione;
  • Mario Fogli viene stordito, ucciso e momentaneamente occultato prima della confessione. Il metodo sembra quindi perfezionato;
  • il corpo di Porrello viene invece spostato ed occultato nel tentativo di procurarsi un alibi.
L’analisi criminologica di Milena Quaglini rivela una donna profondamente segnata da traumi infantili e relazioni abusive, che hanno contribuito a una percezione distorta della realtà e a una risposta violenta come meccanismo di difesa. L’infanzia traumatica, spesso caratterizzata da mancanza di supporto affettivo e protezione, ha favorito lo sviluppo di una percezione del mondo come ostile e pericoloso.
 
La sua storia evidenzia come fattori ambientali e personali posono interagire nel condurre a comportamenti criminali, specialmente in individui con storie di vittimizzazione prolungata.
Secondo le teorie della vittimologia, infatti, il suo comportamento può essere interpretato come una forma estrema di sopravvivenza attiva, tipica delle vittime che si ribellano per evitare ulteriori traumi.

Implicazioni criminologiche

Milena era descritta come una persona emotivamente instabile, con episodi depressivi gravi e una forte dipendenza dall’alcol, utilizzato come meccanismo per affrontare il dolore. I suoi omicidi possono essere considerati atti di autodifesa degenerati in violenza estrema, dove il desiderio di protezione personale si è trasformato in un’escalation incontrollata.

In ogni omicidio, Quaglini ha dichiarato di aver agito per difendersi da aggressioni fisiche o sessuali. Questo riflette una dinamica di “vittimizzazione reversa”, dove il ruolo di vittima e carnefice si intreccia.

Il caso di Milena Quaglini solleva questioni importanti nel dibattito criminologico:

  • La linea sottile tra autodifesa e omicidio
    Quando una vittima di abusi agisce per proteggersi, è possibile distinguere la legittima difesa dall’intenzionalità criminale?
  • Il ruolo della società
    La mancata protezione e il fallimento delle reti di supporto sociale hanno contribuito a spingere Milena verso l’isolamento e, infine, verso azioni violente.
Milena Quaglini è un caso esemplare che combina elementi di psicologia forense, dinamiche relazionali e risposta a circostanze estreme. Approfondirlo significa esaminare i fattori psicologici, sociali e ambientali che hanno determinato il suo comportamento, passando per le caratteristiche che definiscono il suo passaggio da vittima a carnefice.
 
Il profilo criminologico di Milena Quaglini non può essere ridotto alla semplice etichetta di “serial killer”. È il prodotto di traumi accumulati, relazioni abusive e un contesto sociale che non è riuscito a intervenire.
La sua storia mette in luce quanto sia essenziale un approccio integrato, che consideri sia le cause personali che le influenze esterne, per comprendere appieno il comportamento criminale.
 
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