Specialisti medici: una carenza persistente e il pericolo di una bolla
In Italia, gli specialisti medici sono, ad oggi, in numero in costante calo. Gli orari stressanti, gli stipendi poco remunerativi fanno fare dietro front.
Analizziamo al meglio la situazione insieme.
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Specialisti medici: la situazione italiana
Il Governo promette di laureare dal 2030 oltre 120mila nuovi aspiranti medici. Ma i giovani aspiranti specialisti medici stanno facendo dietro front.
Come si sa non è infatti sufficiente ottenere la laurea per poter accedere alla professione. Dopo sei anni di studi è necessario specializzarsi vincendo un posto messo a bando dalle università per i corsi di specializzazione. E gli stessi hanno una durata tra i tre e i cinque anni.
È necessario programmare un numero di borse adeguato a quello dei laureati per evitare un rischio molto attuale. Ovvero quello del cosiddetto “imbuto formativo” che accade quando i posti per specializzarsi non son sufficienti per tutti. Ad oggi l’azione di aumento del numero di posti per tali specialità non è comunque idonea a risolvere il problema della carenza di medici specialisti in alcuni rami. È necessario infatti renderle più attrattive e quindi:
- ripensare alla scuola di specializzazione per la medicina d’urgenza;
- eseguire interventi di valorizzazione della spinta vocazionale;
- regolamentare la possibilità di scelta dei posti a bando;
- disincentivare le scelte di comodo penalizzando gli eventuali abbandoni;
- investire nella Sanità con più risorse ed assunzioni di medici e infermieri.
Imbuti lavorativi ed altri fenomeni
Ad oggi esiste anche il rischio che si crei anche un imbuto lavorativo causato un’offerta più alta della domanda che ci sarà.
Questo effetto è legato al fatto che i nuovi medici saranno pronti, tra laurea e specializzazione, all’incirca tra dieci anni. E questa data coincide con il crollo delle uscite per i pensionamenti dei medici dal Servizio sanitario.
Un’alternativa presa in considerazione da specialisti medici è quella di diventare medici a gettone.
Pagati per ricoprire un singolo turno di lavoro sono solitamente chiamati da società private o cooperative. Le loro caratteristiche principali sono:
svolgono il lavoro da liberi professionisti;
- giovane età, senza esperienza né specializzazione;
- vengono pagati molto di più rispetto ai colleghi;
- servono a tappare eventuali buchi dell’amministrazione;
- non essendo assunti dall’azienda ospedaliera hanno bassa responsabilità e minimi compiti burocratici.
Il nodo della fuga del personale sanitario va a ricercarsi in:
- turni massacranti;
- stress;
- stipendi non adeguati.
Ad oggi è stata registrata una netta propensione ad abbandonare il servizio sanitario pubblico per lavorare a chiamata. I dati del sondaggio dalla Federazione sindacale dei medici parlano chiaro:
- 37,6%: vuole spostarsi alle coop;
- al 50% per le fasce più giovani;
- 45% per chi ha tra i 36 e i 45.
Specialisti medici: l’abbandono
Ma ii problemi non sono solo questi. Lo Stato italiano spende per la formazione degli specialisti medici in media ben 150mila euro cadauno. Suddivisi in 25mila per i sei anni prima della laurea e 128mila per specializzazione e tirocini.
Nonostante questo all’incirca 1000 medici decidono di abbandonare il nostro Paese. Si tratta quindi di più di 150 milioni all’anno regalati dall’Italia ad altri Paesi che hanno la fortuna di ritrovarsi con medici già formati.
Tra le leve principali di fuga:
- stipendi mediamente più bassi rispetto ai colleghi europei.
- pandemia di Covid-19;
- tetti di spesa alle assunzioni;
- anni di spending review.
Il fenomeno aggrava inoltre la carenza di medici e personale sanitario. E di coloro che lasciano il Servizio pubblico per andare a lavorare in cliniche private per fare il medico gettonista.
Destinazioni principali per fare carriera all’estero: Germania, Inghilterra, Francia e Spagna. Le prime due sono le destinazioni preferite, mentre Francia e Spagna stanno crescendo perché si trovano stipendi più alti.
In Germania si guadagna quasi il doppio, mentre in Inghilterra e Francia si guadagna circa un terzo in più. All’estero inoltre esiste una maggiore considerazione dell’atto medico e la carriera è praticamente automatica.
Spesa pubblica in sanità
La situazione della sanità in Italia, a livello di spesa pubblica, non è tra le migliori. Indagini riportano che il nostro Paese sostenga delle spese inferiori rispetto al resto dell’Unione Europea. Le cliniche private sono però in rapida salita per quanto riguarda il giro d’affari. Ad oggi hanno addirittura superato i livelli precedenti alla pandemia di COVID-19.
Si stima che i Paesi della OCSE spendano pro capite in sanità all’incirca $ 4.350, un 9,8% sul PIL. Ma l’Italia risulta collocarsi sotto la media in termini pro-capite con soli $3,7mila e 7,3% sul PIL
In questo modo il nostro Paese si posiziona in relazione alla spesa sanitaria pubblica ben dietro:
- Spagna (7,8%);
- Regno Unito (9,9%);
- Francia (10,3%);
- Germania (10,9%).
In valore assoluto, tale spesa sanitaria pubblica in Italia è aumentata dai $78,5 miliardi di fine 2002 ai $127,8 miliardi di euro di fine 2022. L’ampia crescita media annua del periodo 2002 è dunque rallentato tra il 2012 e il 2019 al +0,9%. Per poi espandersi nuovamente a causa della crisi pandemica dell’ultimo biennio con +5,1%.
Ad oggi il 78,6% del valore complessivo è originato dalle strutture pubbliche, il 21,4% da quelle accreditate. È dunque evidente una netta crescita delle strutture private rispetto a quelle pubbliche.
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