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Quiet Quitting: spopola la filosofia di “lavorare si, ma non troppo”

Quiet Quitting: spopola la filosofia di “lavorare si, ma non troppo”

quiet quitting lavorare si ma non troppo
  • Sara Elia
  • 15 Dicembre 2022
  • News
  • 4 minuti

Quiet Quitting: spopola la filosofia di “lavorare si, ma non troppo"

Il dilemma a cui cerca di rispondere il fenomeno cosiddetto Quiet Quitting è: lavorare tanto e fare carriera sacrificando la propria vita privata? O lavorare il giusto guadagnando in qualità della vita ma rinunciando a qualche promozione?

Stando agli ultimi studi sul settore, su questo dubbio la generazione Z sembra avere le risposte molte chiare. Il concetto alla base del Quiet Quitting è la nuova tendenza dei lavoratori di dare più peso alla qualità della vita privata rispetto alla crescita lavorativa.

Cerchiamo di analizzare insieme passo per passo cosa significa e come è nata questa scuola di pensiero!

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Origini del termine Quiet Quitting

Negli ultimi anni, anche con la complicità dei social, è aumentata sempre più la tendenza a sottolineare quanto fosse alla moda lavorare sempre e tanto. Di notte, nei weekend, in aeroporto, durante le vacanze. A questa tendenza si contrappone quella del Quiet Quitting. Quì sparisce il concetto di lavorare sempre e ovunque, ed emerge la filosofia di lavorare il giusto per godersi la vita privata. 
 
Una vera rivoluzione di atteggiamento lanciata soprattutto dalla Generazione Z e dai Millennial. In questo cambio di direzione ha inciso molto la pandemia che, complice lo smart working, ha incentivato il lavoro da casa senza alcun orario. Il Quiet Quitting cerca quindi di porre rimedio alla situazione di intersezione costante e quotidiana tra vita lavorativa e vita privata. È inoltre un è un antidoto alla cultura della competizione
 
Il trend è diventato popolarissimo grazie a TikTok, la piattaforma di intrattenimento social più utilizzata dalla generazione Z.
Zaid Khan, 24 anni, ingegnere di New York, ha reso popolare questo trend tramite un video diventato virale. Il ragazzo definisce il Quiet Quitting così:
 
“Si continua a svolgere i propri compiti, ma non si aderisce più alla cultura della competizione verso se stessi e gli altri, secondo la quale il lavoro deve essere la nostra vita. “Il tuo valore come persona non è definito dal tuo lavoro”.
 

Filosofia e atteggiamenti del Quiet Quitting

Questo nuovo approccio al lavoro potrebbe sembrare più teorico che pratico di primo acchito. Ma in realtà non è cosi. La traduzione è in una serie di atteggiamenti quotidiani e prese di posizioni chiare nei confronti di colleghi e manager. 
 
Ad esempio:
  • non rispondere alle mail o ai messaggi al di fuori degli orari di lavoro;
  • rifiutarsi di sincronizzare le mail lavorative sul proprio telefono; utilizzare un diverso numero telefonico rispetto a quello privato dedicato esclusivamente al lavoro;
  • non svolgere attività o progetti che si discostano di molto dalla propria mansione per la quale si è stati assunti. 
La Generazione Z, come accennato in precedenza, sceglie di andar via dall’ufficio all’orario stabilito da contratto e non si sente in obbligo di fare costantemente e quotidianamente degli straordinari. 
 
Tutto questo provoca anche un primo aspetto negativo: quello di sentirsi emotivamente meno coinvolti negli obiettivi aziendali.
 

Burnout ai tempi del iper connessione

La volontà espressa tramite il Quiet Quitting dalle nuove generazioni è quella di riprendersi in mano la vita.
Ed è anche una risposta ad una condizione lavorativa che spesso diventa malattia anche detto burnout. Tale sindrome deriva da stress cronico associato al contesto lavorativo, che non riesce ad essere ben gestito. La situazione professionale viene percepita come logorante dal punto di vista psicofisico. Il singolo non dispone di risorse e strategie comportamentali o cognitive adeguate a fronteggiare questa sensazione di esaurimento fisico ed emotivo.
 
Una ricerca effettuata nel 2021 da BVA Doxa riporta che l’80% della popolazione ha avuto negli ultimi 12 mesi sensazione di sfinimento, distacco mentale e calo dell’efficienza fisica e lavorativa. Inoltre il 44% del campione ha affermato che il sovraccarico lavorativo ha influito negativamente nelle relazioni famigliari, nelle amicizie e nella qualità del tempo libero. A questi studi si aggiungono quelli effettuato da Deloitte che evidenzia un altro espetto interessante. L’87% del campione ha affermato di amare il proprio lavoro, ma di questo campione il 67% afferma ugualmente di essere stressato. Un dato interessantissimo che fa cadere il mito del – se ami il tuo lavoro non lavorerai nemmeno un giorno della tua vita -.
 

Fenomeno passeggero o nuova realtà?

Se il Quiet Quitting sia solo una nuova moda di vivere il mondo del lavoro lo si scoprirà in futuro. Per ora si tratta di un fenomeno che spopola e continua ad espandersi, dagli Usa al nostro Paese e addirittura in Cina. 
 
A stupire di più infatti sono i dati che arrivano dalla Cina, da sempre uno dei Paesi più produttivi in assoluto, dove le nuove generazioni stanno iniziando a seguire questa nuova mentalità, e sono sempre più sfiduciati verso i datori di lavoro. I giovani ora mantengono l’impiego, ma con il minimo sforzo. Una nuova filosofia che sta già facendo sentire i suoi effetti sulla produttività di superpotenze.
 
La riflessione che ci porta a fare è quella sullo stress mentale che ognuno di noi può avere se passa la vita mettendo la carriera al primo posto, faticando a raggiungere i propri risultati e le promozioni, che ad oggi sembrano essere sempre più irraggiungibili per la maggior parte degli individui.
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Sara Elia
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