La presunzione di innocenza nel processo penale
Tra i vari istituti giuridici esistenti, quello della presunzione di innocenza può essere considerato un principio cardine del processo penale. Si tratta di un principio proclamato nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, all’articolo 9, poi successivamente ripreso anche in diverse Costituzioni e Carte internazionali.
Grazie alla presunzione d’innocenza, vengono garantiti processi equi: è dunque un elemento imprescindibile. Secondo la dottrina giuridica vigente nel nostro Paese, questo istituto giuridico può essere meglio definito come “presunzione di non colpevolezza”. Infatti, tramite processo, la presunzione di innocenza si trasforma proprio in presunzione di non colpevolezza.
Cos’è la presunzione di innocenza
Volendone fornire una definizione, la presunzione di innocenza è un istituto giuridico, attraverso il quale la persona accusata di reato viene considerata innocente fino a prova contraria.
Si tratta di un concetto fondamentale nel processo penale proprio per le sue caratteristiche. Innanzitutto, serve a proteggere i diritti fondamentali di ogni individuo e può garantire che il processo sia effettivamente equo.
Rappresenta inoltre un elemento in grado di dare garanzie al pubblico. Le condanne, infatti, devono necessariamente essere basate su delle prove che siano effettivamente concrete. La sua applicazione, poi, minimizza il rischio di errori giudiziari.
Oltre che essere già previsto nella già citata Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, datata 1789, la presunzione è prevista da numerosi trattati internazionali. Tra questi, è inserita anche nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, precisamente all’art. 11, e nella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo all’art. 6.
Nella Costituzione Italiana, all’art. 27 comma 2, invece, si stabilisce che, fino alla condanna definitiva, un imputato non può essere automaticamente considerato colpevole.
I presupposti storici
Come dimostra la sua introduzione grazie alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, quello della presunzione di innocenza è un concetto che risale al Settecento.
Le sue prime teorizzazioni in epoca moderna le dobbiamo agli italiani Cesare Beccaria e Pietro Verri, che iniziarono a teorizzarla già nel 1764.
Secondo le formulazioni del principio a opera di Verri e Beccaria, in un processo penale l’imputato deve essere assolto se l’accusa non riesce a dimostrare in modo chiaro e “oltre ogni ragionevole dubbio” la sua responsabilità per il reato contestato. Inoltre, fino alla sentenza di condanna definitiva, l’imputato deve essere trattato come non colpevole.
Un concetto a tre dimensioni
All’interno di un processo penale, la presunzione di innocenza può essere considerata come concetto tridimensionale.
Innanzitutto, viene usato come regola di trattamento. Infatti, serve come garanzia per l’imputato, che non viene presentato come colpevole in assenza di condanna. Detto in altre parole, la persona indagata non può assolutamente essere trattata da colpevole prima della conclusione del processo.
L’imputato viene protetto da provvedimenti che lasciano intendere un giudizio di colpevolezza. Questo in accordo con il decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 188, che ha recepito la direttiva UE 2016/343.
Secondo la direttiva, in atti giudiziari gli imputati e gli indagati non possono essere presentati come colpevoli. Sono inoltre vietati mezzi come le manette (o altri mezzi coercitivi). Ovviamente, c’è un’eccezione: i mezzi coercitivi possono essere usati per ragioni di sicurezza.
La seconda dimensione della presunzione di innocenza è rappresentata dalla regola probatoria. Viene stabilito che l’onere della prova spetti al pubblico ministero: è l’accusa che deve dimostrare la colpevolezza dell’imputato, mentre quest’ultimo è innocente fino a prova contraria.
A questo livello si collega anche il diritto al silenzio e a non autoincriminarsi.
Infine, come regola di giudizio, la presunzione di innocenza si traduce nel principio in dubio pro reo. In sostanza, anche se rimane un dubbio sulla colpevolezza, l’imputato deve essere assolto. La condanna, infatti, può esserci solo se la colpevolezza risulta provata “oltre ogni ragionevole dubbio”.
I diritti dell’imputato
Come abbiamo già detto, l’istituto giuridico prevede per l’imputato il diritto a non essere trattato come colpevole se il processo è ancora in corso. Il che rende inapplicabili provvedimenti come la detenzione preventiva o altre misure che limitino la sua libertà personale, se non in casi gravissimi e dove sia strettamente necessario.
Ma i diritti dell’imputato non si esauriscono qui. Il diritto di restare in silenzio e di non fornire prove contro se stessi è considerato dalla Corte europea un elemento fondamentale del giusto processo e un aspetto strettamente legato alla presunzione di innocenza.
Non è quindi possibile, in quanto contraddittorio, richiedere prove a chi, fino a prova contraria, è estraneo al reato. La giurisprudenza europea ha più volte ribadito che l’accusa deve dimostrare la colpevolezza dell’imputato senza servirsi di prove ottenute con costrizioni, pressioni o inganni che possano condizionarne la volontà.
A riconoscere il diritto al silenzio e alla non autoincriminazione ci ha pensato la direttiva UE 2016/343, all’art. 7.
I diritti nell’ordinamento giuridico italiano
I diritti al silenzio e alla non autoincriminazione garantiti dalla presunzione di innocenza sono chiaramente previsti anche dall’ordinamento giuridico italiane.
Innanzitutto, l’art. 64 del Codice di Procedura Civile garantisce il diritto al silenzio dato che l’imputato può rifiutare l’interrogatorio.
Inoltre, il c.p.p. prevede che l’imputato possa negare il consenso all’esame (art. 208) o decidere di non rispondere a singole domande (artt. 65 e 209).
Anche il diritto a non autoincriminarsi è ampiamente tutelato dal c.p.p. L’art. 63 chiarisce infatti che non si possono rendere dichiarazioni che facciano emergere la propria responsabilità. Inoltre, anche chi non è formalmente indagato o imputato può rifiutare di rispondere a domande che potrebbero indurlo a rilasciare dichiarazioni autoaccusatorie.
Presunzione di innocenza: le critiche
L’istituto giuridico della presunzione di innocenza, soprattutto nella sua declinazione prevista dall’ordinamento giuridico italiano, è stato spesso soggetto a critiche.
Innanzitutto, in alcuni casi esistono prove inconfutabili: pensiamo, ad esempio, ai casi in cui la confessione viene resa liberamente dall’imputato davanti al giudice. In molti contestano quindi il fatto che, anche in caso di confessione, la presunzione di innocenza valga fino alla sentenza definitiva della Cassazione.
Un’altra critica viene mossa in tutti quei casi in cui la condanna non avviene per decadenze, prescrizioni o eventuali vizi di forma. In questi specifici casi, la critica afferma che si dovrebbe parlare di “mancato reo”, in quanto l’imputato non dovrebbe considerarlo davvero innocente, ma piuttosto un colpevole che è riuscito a evitare la condanna.
