Investimenti vanificati: fuga dei medici italiani e il costo per la formazione
Sempre più medici lasciano il Paese per andare a vivere in altri Paesi. Le ragioni alle spalle di questo fenomeno sono fondamentalmente due: il desiderio di fare carriera e lo stipendio medio. È stato osservato che i camici bianchi nostrani preferiscono spostarsi in paesi come Regno Unito e Germania, seguiti a ruota da Francia e negli ultimi anni anche la Spagna.
Se già negli anni passati i professionisti formati e competenti erano visti come una sorta di preziosa merce di scambio, dall’emergenza Covid sono diventati ancora più richiesti.
In pratica ogni anno l’Italia spende milioni di euro per formare medici che poi abbandonano il Paese perché qui non possono crescere come vorrebbero o non ritengono di essere adeguatamente pagati rispetto alle mansioni che svolgono rispetto alle media europea. L’investimento fatto, in sostanza, va a vantaggio di altri e non porta a un beneficio per la nazione.
Ma quali sono effettivamente i numeri dei medici che decidono di lasciare il paese? E quanto costa la formazione di ogni professionista all’Italia? Continua a leggere per scoprirlo.
I costi per la formazione dei medici
Nel nostro Paese migliaia di giovani decidono di intraprendere la carriera di medici iscrivendosi all’Università prima e ai corsi di specializzazione dopo. In media il loro percorso formativo dura 11 anni: 6 anni per ottenere la laurea e ulteriori 4 anni per ottenere la specializzazione. Sempre che non si perdano anni e si diventi studenti fuori corso. In questo caso, il periodo di formazione può essere ancora più lungo.
Per ciascuno studente lo Stato spende circa 25mila euro per gli anni della laurea e 128 mila euro per la specializzazione. Questi ultimi anni includono anche molte ore di pratica in corsia. La somma totale, quindi, aggira intorno ai 50 milioni di euro. L’abbandono dell’Italia a favore di altri Paesi fa sì che tutti gli investimenti, i fondi e le conoscenze vanno a beneficio dei Paesi che li accolgono.
In questa ottica la perdita appare doppia: da un lato vengono investiti fondi per la formazione di specialisti e dall’altro non c’è un ritorno effettivo. Gli ospedali si trovano in sofferenza di personale e ha difficoltà a trovare professionisti qualificati.
I numeri dei medici in fuga
Il numero dei medici nelle strutture italiane è in calo, sebbene le necessità di ospedali e pronto soccorso richiedano professionisti e specialisti.
Senza dubbio, una delle motivazioni che spiegano questa situazione è la cosiddetta Great Resignation, il fenomeno di dimissioni di massa che sta caratterizzando il mercato del lavoro in tutto il mondo. Molti medici, ma anche infermieri e membri dello staff ospedaliero, sono stati estremamente provati dalla pandemia, al punto da decidere di lasciare il proprio impiego.
L’altra motivazione per cui i medici lasciano gli ospedali è la fuga verso l’estero. Infatti, almeno mille medici all’anno decidono cambiare Paese per proseguire la propria carriera.
Il trend ha avuto un momento di inversione dopo il periodo del Covid e ancora se ne vedono i segni: il desiderio di vivere accanto ai propri familiari si è rivelato essere uno sprone a restare. Questo e le nuove aperture nell’ambito sanitario, in continua ricerca di professionisti per colmare i vuoti lasciati.
Volendo dare una quantità orientativa Secondo il database OCSE negli ultimi tre anni disponibili – 2019, 2020 e 2021 i professionisti del settore sanitario (medici e infermieri) che hanno deciso di lasciare il Paese sono stati ben 40 mila. Un numero esorbitante di specialisti su cui il Paese ha investito senza vedere un ritorno, arricchendo i Paesi che li accolgono.
I paesi d’arrivo
Quali sono i Paesi preferiti dai medici che decidono di espatriare? Le nazioni più gettonate sono quelle europee e vedono prime in classifica Inghilterra e Germania, seguite da Francia e in una misura minore dalla Spagna.
Le motivazioni che spingono i medici a trasferirsi in questi posti sono legati allo stipendio e alla carriera. Germania, Inghilterra, Francia e Spagna, infatti, offrono ai professionisti del settore sanitario cifre decisamente più alte che in alcuni casi diventano persino due volte maggiori rispetto ai 56 mila euro lordi annui che guadagna un giovane medico specializzato agli inizi.
Inoltre, l’iter che porta i medici di nuova leva a fare carriera è molto più chiaro e i meccanismi per progredire sono trasparenti e facili da seguire. In Italia, invece, le responsabilità e i ruoli di comando vengono difficilmente lasciati ai medici giovani limitando drasticamente il turn over delle figure specializzate.
Le cause
Adesso che abbiamo chiarito la maggior parte degli aspetti riguardanti la fuga dei medici è importante capirne le cause. Come abbiamo visto, infatti, l’investimento sulla formazione di queste figure professionali non è indifferente eppure non c’è un ritorno della spesa e, anzi, la sanità è in grave perdita.
Andando ancor più nel dettaglio, possiamo vedere che la fuga dei medici all’estero danneggia in particolar modo la sanità pubblica. Quella privata, infatti, riesce ancora ad attrarre i giovani talenti grazie alla possibilità di offrire compensi migliori e un maggior equilibrio tra la vita lavorativa e quella privata.
Le cause che spingono i medici a lasciare il Paese sono varie, ma grossomodo possono essere distinte in:
- reputazione dell’atto medico all’estero
- possibilità di accedere alla carriera
- possibilità di crescita della carriera
- stipendio
- maggior equilibrio vita-lavoro.
Per quanto riguarda il primo punto, possiamo dire che il resto dell’Europa sembra avere una visione diversa dell’atto medico, anche in caso di errori o fallimenti. Questo elemento diventa più forte quando si fa il confronto con l’Italia, dove il rischio di finire in tribunale è estremamente alto.
Il secondo punto, quello riguardante l’accesso alla carriera, rappresenta un vero e proprio paradosso della sanità pubblica italiana. Infatti, sebbene ci sia forte necessità di personale, la riduzione di budget e le continue decurtazioni ai fondi dedicati alla sanità ha fatto sì che non ci siano abbastanza investimenti in questo settore. L’Italia, infatti, è tra i Paesi del G7 che spende meno per la sanità: solo il 6,1% del PIL. La media Europea è dell’11,3% del PIL.
Il terzo e il quarto punto, invece, sono dedicati alla possibilità di fare carriera e agli stipendi. I contratti bloccati e i turn over limitati che hanno caratterizzato la sanità italiana negli ultimi anni, ha reso ospedali e policlinici nostrani molto meno appetibili per i giovani che vogliono crescere e affermarsi. La possibilità di avere uno stipendio adeguato e migliorarsi come professionisti è un’opportunità a cui è difficile rinunciare.
L’ultimo punto è quello che sta segnando tutto il mondo del lavoro dalla pandemia in poi. Sebbene i costi per vivere nei Paesi come Germania, Inghilterra e Francia siano molto più alti rispetto a quelli italiani, comunque si ha la disponibilità economica e il modo di poter coltivare i propri interessi e passare il tempo con i cari.
Osservando la situazione attuale, sembra evidente che il nostro Paese abbia bisogno di un decisivo cambio di rotta. I fondi spesi per la formazione di nuovi medici deve portare a un effettivo aumento dei professionisti sanitari nelle nostre corsie. In questo modo si potranno cogliere i frutti dell’investimento fatto e migliorare l’efficienza e le prestazioni degli ospedali.