Digital Markets Act (DMA): mercati digitali equi e aperti
Si sente sempre più spesso parlare del Digital Markets Act, regolamento europeo previsto già da anni e al quale le Big Tech si stanno lentamente uniformando.
Un esempio è Google, che sta per introdurre delle funzionalità specifiche per lo Spazio Economico Europeo, dove il regolamento imporrà una serie di misure.
Lo strumento impone infatti tutta una serie di misure che mirano a rendere più equa e leale la concorrenza all’interno dei mercati digitali. Ma cosa prevede, con esattezza, questa nuova normativa europea? Cosa cambia per Big Tech e consumatori?
Scopriamolo insieme in questa guida.
Digital Markets Act: cos’è
Come anticipato, il Digital Markets Act è un regolamento europeo, dedicato ai mercati digitali. È stato approvato già dal 2022, insieme al Digital Service Acts, dedicato interamente ai servizi digitali.
Dopo la sua approvazione, il DMA, acronimo del Digital Markets Act, è entrato in vigore sei mesi dopo, ed è quindi già operativo dal 2023. Tuttavia, la sua prima bozza fu presentata già diversi anni fa, a fine 2020.
L’obiettivo del regolamento resta lo stesso contenuto nella bozza: quello di evitare gli abusi, al fine di tutelare l’utenza dalle possibili violazioni.
Nei dettagli, non si tratta di un regolamento che agisce dopo l’evento, conferendo una sanzione. Il Digital Markets Act ha più che altro una funzione preventiva, ed agisce dunque non ex post, ma ex ante.
In sostanza, la Commissione UE ha precedentemente valutato l’impatto che le grandi piattaforme hanno effettivamente sul mercato. Il che causa non solo impossibilità di concorrenza, ma anche pratiche commerciali dannose per gli utenti del mercato, che di fatto possono far riferimento solamente alle grandi piattaforme.
Con il nuovo regolamento, al contrario, il mercato diventa più equo per tutte le imprese, non solo per quelle di grandi dimensioni. Inoltre, gli eventuali abusi di mercato e le pratiche sleali verranno evitate. Si favorirà, al contrario, la leale concorrenza e la competitività, due aspetti fondamentali per garantire l’innovazione.
Infine, ampio spazio viene dato ai dati ed alla privacy degli utenti all’interno del regolamento UE.
L’individuazione dei gatekeeper
Il nuovo Digital Markets Act prevede inoltre l’individuazione dei gatekeeper. Si tratta di tutte quelle società, che in gergo tecnico vengono definite come Large Online Platforms, che di fatto detengono un certo controllo. La motivazione che giustifica tale controllo si spiega con le caratteristiche della società stessa: si tratta di imprese di grandi dimensioni, in ragione delle quali detengono il controllo del proprio settore.
In realtà, vengono denominati gatekeeper coloro che rispettano sia dei requisiti quantitativi che qualitativi.
Non solo si tratta di piattaforme usate da un numero elevatissimo di persone, e con ricavi enormi. Si tratta anche di aziende e piattaforme in grado di fungere da intermediari, oltre che in grado di sfruttare dati degli utenti per garantire la competizione anche su altri mercati.
Stando al Digital Markets Act, tre sono i dettagli da analizzare e misurare per individuare i gatekeeper:
- le entrate e la dimensione dell’azienda
- l’accesso degli utenti, pari almeno a 10.000 durante l’anno e 45 milioni totali al mese in Europa
- la stabilità dell’azienda sul mercato, che deve essere relativa almeno all’ultimo triennio.
L’Unione Europea provvederà all’individuazione dei gatekeeper, aggiornando tra l’altro periodicamente i requisiti in base alle esigenze di mercato.
Tra l’altro, la designazione come gatekeeper potrebbe essere anche revocata a seguito dei controlli periodici.
I nuovi strumenti del Digital Markets Act
Se le regole vigenti dell’Antitrust prevedono un controllo a posteriori, come detto in precedenza il Digital Markets Act permetterà dei controlli ex ante.
In particolare, due sono gli strumenti che il DMA introduce per garantire il monitoraggio preventivo: le blacklist e le whitelist. A questi due strumenti, poi, si aggiungono anche i case by case assessment.
Più nel dettaglio, le aziende verranno inserite nella cosiddetta blacklist per diverse pratiche scorrette, tra le quali:
- leveraging, ossia la monopolizzazione del mercato sfruttando la propria posizione;
- self preferencing, che riguarda la pratica di favorire i propri beni, anche in questo caso sfruttando la propria posizione;
- negazione dell’accesso alle informazioni dell’utente da parte di terzi, anche in presenza di approvazione dell’utente stesso;
- condizioni contrattuali che limitano l’uso di determinate funzioni;
- formulazioni poco trasparenti delle condizioni contrattuali;
- restrizioni o negazioni della portabilità dei dati o del loro riutilizzo, per dissuadere o impedire agli utenti di abbandonare la piattaforma;
- combinazione di dati personali dell’utente provenienti dai servizi di piattaforma con altre informazioni personali da servizi di terze parti, senza esplicito consenso dell’utente.
Altre aziende, invece, verranno inserite nella cosiddetta whitelist. Per loro, gli obblighi da rispettare sono diversi. Innanzitutto, un’azienda in whitelist dovrà consentire la disinstallazione delle app preinstallate.
Inoltre, dovranno garantire a inserzionisti e agli editori tutte le informazioni di cui questi hanno bisogno per controllare e tenere sotto osservazione in modo indipendente i dati relativi alla pubblicità e agli spazi disponibili per la pubblicità.
Infine, secondo il Digital Markets Act, chi è in whitelist dovrà concedere gratuitamente agli utenti commerciali, o a terzi autorizzati da un utente commerciale, la possibilità di accedere in modo efficace, costante e immediato ai dati raccolti o prodotti durante l’utilizzo dei servizi di base della piattaforma, sia in forma aggregata che dettagliata.
Le sanzioni previste nel DMA
Abbiamo detto più volte che il Digital Markets Act mira a intervenire ex ante, non ex post. Il che non significa però che il regolamento UE non preveda sanzioni, anzi.
Sono previste tutta una serie di sanzioni per le aziende che non rispetteranno quanto previsto dal DMA.
In caso di prima violazione, la sanzione è fissata al 10% del fatturato totale. Per i recidivi, la sanzione sale invece al 20%.
L’irrogazione della sanzione dipenderà anche dall’entità della violazione commessa. Nel caso di violazioni di gravità contenuta, la sanzione può essere infatti ridotta all’1% del fatturato.
Di base, quindi, l’importo della sanzione viene stabilito a seconda della gravità del fatto commesso. Inoltre, recidive e violazioni sistematiche potranno comportare a inasprimento delle sanzioni previste, fino all’obbligo di cedere proprietà o capitale dell’impresa.
Ovviamente, per gli accusati ci sarà la possibilità di ricorso presso la Commissione UE.