Meno ore e più soldi: la nuova tendenza nei contratti di lavoro
La richiesta attuale da parte dei sindacati è quella di ridurre il tempo nei contratti di lavoro. E tali riduzioni variano tra le 12 e le 24 giornate all’anno in base alla categoria professionale.
Analizziamo insieme la situazione al meglio!
Indice
Contratti di lavoro: la parola ai sindacati
La ricerca di un nuovo equilibrio è una delle richieste base dei lavoratori d’oggi.
I primi ad avanzare la proposta di modifica dei contratti di lavoro sono stati i sindacati del legno arredo Filca, Fillea, Feneal. Poi seguiti sulla scia dell’onda da altri:
- legno arredo: riduzione dell’orario pari a circa 12 giorni all’anno;
- bancari: con la richiesta di 10 ore al mese, ovvero 16 giorni all’anno ed aumento di 435 euro su tre anni;
- alimentaristi: con la richiesta di 24 giorni di lavoro in meno all’anno e 300 euro di aumento su quattro anni.
Le richieste principali sono quindi la riduzione di ore e l’aumento del salario.
È anche vero però che ogni richiesta ha un costo alto e la produttività del lavoro è purtroppo un punto debole dell’Italia. Pur essendo le richieste molto apprezzate dai lavoratori, non lo sono per nulla dalle imprese.
Il dibattito è proseguito fino a proposte quali la settimana corta inglese basata sulla formula 100-80-100:
- 100% dello stipendio;
- 80% del tempo di lavoro;
- 100% dei risultati.
Le sperimentazioni sono ad oggi incorso su piccoli numeri. Ma di certo il modello non è di facile applicazione sulle ampie platee.
La ricerca di un nuovo equilibrio
Quando si parla di contratti di lavoro le valutazioni da fare sono molteplici:
- il dibattito sulla riduzione degli orari nasce sempre a seguito di recupero di produttività grazie ad avanzamenti di tecniche e tecnologie;
- post pandemia si è sviluppata una maggior attenzione alla conciliazione vita-lavoro;
- il problema grandi dimissioni, quiet quitting, ha inciso molto come vedremo meglio in seguito.
Il cambiamento in atto nella nostra società è evidente e non può essere ignorato. Ogni settore affronta il tema in un modo differente. Le richieste di aumento salariali e di riduzione dell’orario di lavoro hanno un costo molto elevato.
Proprio per questo motivo è necessario il supporto del Governo nel sostenere:
- partita salariale;
- abbattimento del cuneo fiscale;
- detassazione degli aumenti contrattuali.
Le questioni degli orari vanno affrontate con strumenti differenti in base al settore ma fondamentale. Per rispondere alla sfida del lavoro che cambia, l’orario di lavoro settimanale dovrebbe essere tra le 36 e le 40 ore, a parità di salario.
L’orario potrebbe essere distribuito su 4 giorni con una riduzione di un’ora e mezza, passando a 37,5 a 36/35 ore settimanali. La riduzione generale dell’orario contrattuale diventerebbe 30 minuti giornalieri, quindi 35 ore settimanali.
Contratti di lavoro: il punto di vista dei proprietari di imprese
Oltre la metà di manager e proprietari di imprese (53%), si sono dichiarati favorevole a discutere il tema contratti di lavoro. Ma pongono il tema della produttività. La riduzione dell’orario di lavoro è arrivata alla piattaforme di rinnovo contratti che darebbero concretezza al dibattito.
Filca, Fillea e Feneal sostengono che sono ad oggi insostenibili le attuali politiche aziendali che rispondono alla domanda di mercato tramite:
- utilizzo di straordinari;
- modifiche turni;
- flessibilità strutturale;
- ridotta fruizione di ferie e riposi giornalieri e settimanali;
- orari statici e tradizionali.
Al contrario stabilizzazioni e assunzioni sono lo strumento più adatto per rispondere all’ esigenza. In contemporanea ad una riduzione dell’orario di lavoro e parità salario, che permetterebbe la possibilità di nuove assunzioni.
Proprio per questo i sindacati chiedono di sperimentare fin da subito una riduzione dell’orario di lavoro formale da 40 a 38 ore settimanali.
Vari sondaggi hanno evidenziato che uno dei temi di maggior discussione tra i lavoratori è quello del tempo. Lo smart working ha di certo reso più semplice conciliare lavoro e tempo libero. Ma se questa è una realtà, lo è solo per chi si occupa di lavori d’ufficio. Ed ha aumentato la dicotomia tra chi lavora in produzione e non può fare smart working.
Burnout è Quiet Quitting: due problemi attuali
La nuova tendenza dei lavoratori è quella di dare più peso alla qualità della vita privata rispetto alla crescita lavorativa. Negli ultimi anni, con la complicità dei social, è aumentata la tendenza del lavorare sempre e tanto. Ad essa si contrappone quella del Quiet Quitting, ove emerge la filosofia di lavorare il giusto per godersi la vita privata.
La traduzione è in una serie di atteggiamenti quotidiani e prese di posizioni chiare:
- non rispondere alle mail o ai messaggi al di fuori degli orari di lavoro;
- rifiutarsi di sincronizzare le mail lavorative sul proprio telefono; utilizzare un diverso numero telefonico rispetto a quello privato dedicato esclusivamente al lavoro;
- non svolgere attività o progetti che si discostano di molto dalla propria mansione per la quale si è stati assunti.
La volontà espressa tramite questa filosofia è quella di riprendersi in mano la vita. Ed è anche una risposta ad una condizione lavorativa opprimente che spesso diventa burnout. Tale sindrome deriva da stress cronico associato al contesto lavorativo, che non riesce ad essere ben gestito. La situazione professionale viene percepita come logorante dal punto di vista psicofisico. Il singolo non dispone di risorse e strategie adeguate a fronteggiare questa sensazione di esaurimento.
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