La (dis)parità di genere nel mondo accademico italiano
Non molto tempo fa, ha fatto parlare di sé una notizia riguardante la prestigiosa Università La Sapienza di Roma: si trattava dell’annuncio della nomina di Antonella Polimeni al ruolo di rettrice della grande istituzione capitolina. Una notizia, di per sé, che potrebbe sembrare di poca importanza, non degna di suscitare alcun particolare scalpore. Ma, come ci hanno ricordato articoli e dati relativi al tema, diffusi oppure ripubblicati in occasione dell’elezione di Polimeni, la nomina di una donna rettrice in Italia è un evento più unico che raro. Polimeni non è solo la prima donna alla testa della grande Università romana, bensì un monito di quanto la scelta di intraprendere una carriera accademica, per una donna in Italia, si riveli in corso d’opera disseminata di difficoltà: si tratta di insidie più o meno inaspettate, da parte delle donne stesse, e spesso troppo poco conosciute al grande pubblico.
Numeri che parlano: percentuali di occupazione delle donne
Il cosiddetto gender gap è un problema che affligge più o meno tutti gli ambiti del mondo del lavoro, come emerge ormai da studi statistici che vengono ripetuti periodicamente da organi di ricerca appositi, studi volti a portare alla luce le disparità di genere in modo da renderle sempre più esigue. Questo divario di rappresentazione è evidente anche a livello accademico, come dimostrano le percentuali di professori ordinari donne rispetto alle controparti maschili (sul totale italiano, il rapporto è più di uno a quattro), nonché il numero di rettrici di istituzioni della Penisola, solo sei su novantasei Università in tutta Italia. Il divario occupazionale di genere pare essere più marcato negli atenei del Centro e del Sud Italia, con dati più incoraggianti (seppur lievemente) al Nord, in particolare a Milano. Due Università con sede nel capoluogo lombardo (Bicocca e Politecnico) hanno implementato da qualche anno un sistema di monitoraggio degli impieghi interni ad esse, e i cui indici sono variati leggermente negli ultimi anni ad indicare un cambiamento in positivo (reportage e dichiarazioni sono reperibili online). Ma si tratta di cambiamenti che necessitano di una spinta ulteriore, se si vuole arrivare alla parità di genere nella carriera accademica.
Carriera accademica: buchi nelle cariche più importanti
Sebbene la situazione vari in maniera piuttosto ampia tra un ateneo e l’altro, i linea generale è possibile riscontrare disuguaglianze di genere soprattutto in alcuni ambiti accademici, e soprattutto a livello gerarchico. L’ambito scientifico e tecnologico, ad esempio, continua a rivelarsi più permeato da una presenza maschile nell’organico di professori, ricercatori e anche studenti. Le donne impegnate nella ricerca scientifica in ambito universitario continuano ad essere meno, per motivi disparati (alcuni saranno esposti nei paragrafi successivi).
Ma è nella disposizione gerarchica delle cariche accademiche che si riscontra la maggiore disuguaglianza di genere: se la concentrazione di donne all’interno dei ruoli di ricerca e di insegnamento, ai primi livelli, si avvicina di più a quella degli uomini, più si sale verso l’alto e maggiori sono le differenze tra le due. Molto più raro di quanto si pensi è vedere responsabili di dipartimento, direttrici e rettrici donne rispetto ai loro colleghi uomini.
Non più solo quote rosa
Come sottolineato da esperti ed attivisti, al giorno d’oggi non ha più senso parlare di quote rosa o di immissione forzata di donne all’interno degli organici di aziende ed istituzioni accademiche. Per migliorare le condizioni lavorative delle donne, occorre riconoscere innanzitutto i vantaggi di possedere un personale eterogeneo, non solo a livello di genere ma anche di etnia, orientamento sessuale, estrazione sociale e molto altro. Di fondamentale importanza è anche assicurare alle donne che intraprendono la carriera accademica delle prospettive solide, che permettano loro di dedicarvisi senza compromettere la propria vita privata, nello stesso modo in cui ciò è permesso agli uomini da secoli a questa parte. Uno degli ostacoli nascosti al raggiungimento della parità sta proprio nella percentuale di donne che abbandonano presto la carriera accademica perché impossibilitate, dal sistema stesso, a costruirsi una posizione alla stessa velocità di un collega uomo.
Un augurio per un futuro più equo e giusto
In molti si chiedono se sia effettivamente possibile colmare questo divario nel giro di poco tempo. Non si può negare, infatti, che il gender gap nel contesto della carriera accademica sia un concetto tutto fuorché nuovo: sono anni, se non decenni, che si continua a parlare di parità di genere sul lavoro. Di questo passo, come sottolineato da molteplici esperti, arrivare all’agognata uguaglianza richiederà altrettanti decenni, un tempo che le nuove generazioni non sono disposte ad aspettare.
Come ci ricordano personalità con esperienza diretta di attivismo e lavoro strutturale, è importante partire dall’educazione. Far sì che le giovani studentesse non si sentano svantaggiate rispetto ai colleghi uomini, che possano seguire i loro interessi senza preoccuparsi di pregiudizi e difficoltà, sono i primi passi verso la creazione di un sistema più equo. All’interno del circuito universitario già attivo, è importante diversificare l’organico incoraggiando le candidature femminili e le loro assunzioni, varando leggi e tutele che ne salvaguardino l’avanzamento e che permettano alle donne di godere di pari opportunità.