Assegno di mantenimento: i doveri secondo la Corte di Cassazione
Di recente la Corte di Cassazione ha cercato di fare chiarezza sui doveri derivanti dall’assegno di mantenimento e i criteri validi per concederlo o revocarlo.
Il mantenimento rappresenta un supporto finanziario che un coniuge fornisce all’altro dopo un divorzio, una separazione consensuale o una decisione del tribunale. Si tratta di un pagamento periodico, di solito mensile, che il coniuge tenuto al mantenimento effettua per contribuire alle spese della vita del beneficiario e dei figli. Tale pagamento può essere eseguito tramite assegno, bonifico bancario o trasferimento diretto dal conto corrente del coniuge obbligato a quello dell’altro coniuge.
Scopriamo insieme cosa è stato deciso nel dettaglio!
Indice
Assegno di mantenimento: criteri di concessione o revoca
Nel 2024, il primo criterio di scelta per deliberare la decisione di concedere l’assegno di mantenimento per il mantenimento figli, è l’età dei ragazzi. Prendendo in considerazione questo parametro di riferimento, è poi necessario procedere con una valutazione proporzionale crescente in rapporto all’età dei beneficiari.
In altre parole, ciò significa che tale obbligo assistenziale non può venire protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura.
La questione è, inoltre, di estremo interesse attuale in quanto ai giovani di oggi è permesso un ingresso nel mondo del lavoro sempre più protratto nel tempo.
Esempio emblematico è il caso che è stato a inizio 2024 posto all’attenzione della Corte di Cassazione. Può essere negato il mantenimento a un figlio di 30 anni, laureato ma disoccupato o assunto tramite formule di stage e tirocini?
La risposta, non semplice come potrebbe sembrare, è si. Anche se un figlio trentenne è laureato e disoccupato, il giudice può interrompere l’assegno di mantenimento. Questo è quello che dichiara l’ordinanza n. 2259/2024. La Suprema Corte, infatti, ha stabilito un’interpretazione della giurisprudenza in merito a cui il genitore divorziato non deve più versare l’assegno di mantenimento in tale circostanza.
Assegno di mantenimento: quando cessa la durata
Il genitore divorziato, e in dovere di versare l’assegno di mantenimento, non può decidere quando smettere di pagarlo. Infatti, spetta solo ed unicamente al giudice il potere di revocare il provvedimento.
Per questo motivo, il suddetto genitore, per interrompere il pagamento degli alimenti, deve presentare un ricorso in tribunale ricorrendo ai presupposti per disporre tale proposito.
E quali sono i presupposti per i quali è concessa la revoca?
Un figlio, fin quando è minorenne, ha sempre ed in ogni caso diritto al mantenimento. L’identico discorso è valido per un figlio con gravi disabilità che non gli consentono di lavorare.
Diversamente capita quando cui il figlio è maggiorenne. In questo caso, infatti, il caso è contrario, ma la cessazione degli alimenti non è automatica al compimento del diciottesimo anno di età.
Il giovane, in questi anni, ha l’obbligo di formarsi o cercare un’occupazione o tentare altre soluzioni che possano renderlo indipendente. Più passa il tempo, più lo stato di disoccupazione può essere ricondotto all’inerzia del giovane che, per rendersi autosufficiente, dovrebbe saper cogliere le offerte di lavoro che gli arrivano anche se non in linea con le sue aspirazioni. Se quindi egli non agisce verso tale obiettivo, il genitore può rivolgersi al giudice per far cessare definitivamente l’obbligo.
Principio di autoresponsabilità
Come abbiamo visto finora, un genitore può quindi smettere di dare il mantenimento solo quando il giudice lo permette. Se, al contrario, lo fa di sua spontanea iniziativa, rischia di incorrere in una condanna per violazione degli obblighi di assistenza materiale.
Inoltre, la Corte di Cassazione cita il principio di autoresponsabilità. Una persona adulta deve essere in grado di provvedere a sé stessa senza dipendere finanziariamente dai genitori. Nonostante l’assenza di una indipendenza economica, un giovane di trent’anni deve essere considerato responsabile di sé stesso. Il figlio deve dimostrare un impegno a rendersi indipendente durante la crescita, a trovare un lavoro o a completare la propria formazione.
Come è evidente, la Corte di Cassazione considera l’età come fattore fondamentale nella decisione se concedere o meno l’assegno di mantenimento.
Le situazioni cambiano in maniera emblematica proprio in base all’eta del beneficiario. Se è appena diventato maggiorenne e continua i suoi studi, ha ancora diritto al mantenimento. Ma se è adulto, e quindi con trent’anni o più, dimostrare il bisogno dell’assegno di mantenimento diventa più difficile. Deve provare che ci sono motivi validi, indipendenti dalla sua volontà, che gli impediscono di lavorare.
In definitiva, l’obiettivo è evitare che il sostegno finanziario continui per un tempo eccessivamente lungo, anche se non finisce automaticamente quando si raggiunge la maggiore età.
Eventuale revoca anticipata dell’assegno di mantenimento
Lo stato di disoccupazione del figlio, successivo alla maggiore età, non determina l’immediata cessazione del mantenimento ma rende difficile dimostrare la volontà di rendersi autonomo. Per questo motivo la Corte di Cassazione ha stabilito che, compiuto il trentesimo anno di età, il figlio ancora disoccupato perde il diritto al mantenimento. E ciò avviene a prescindere dalle prove che riesce a fornire circa l’assenza di colpa nella ricerca del lavoro.
Inoltre, l’assegno di mantenimento si può perdere anche prima dei 30 anni in alcune specifiche occasioni. Se un figlio non dimostra di:
- realizzare con profitto un percorso di studio o formativo, e quindi ad esempio non sostiene esami o li dà in maniera diradata nel tempo;
- cercare un’occupazione con impegno, ad esempio partecipando a stage, tirocini, bandi di concorso pubblico;
- iscriversi al centro per l’impiego, inviare il proprio curriculum e richiedere colloqui di lavoro.
Cosa accade invece se il figlio sta frequentando uno stage?
Di certo, l’accesso alla professione nel mondo contemporaneo è un percorso lungo e spesso tortuoso. Questo però, in base alla Cassazione, non esonera a trovare eventuali soluzioni occupazionali alternative in attesa di realizzare i propri obiettivi.
Il semplice fatto di frequentare un tirocinio non giustifica il permanere dell’assegno di mantenimento. A trent’anni è ragionevole presumere che tali situazioni derivino da un comportamento passivo e non dall’assenza di occasioni.
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